lunedì 13 giugno 2022

Bring it on, una meraviglia irriverente tra sentimenti e acrobazie

Diciamo subito che questo BRING IT ON, secondo appuntamento con il Summer Musical Festival della BSMT,  è una meraviglia da vedere. Se gli artisti di teatro musicale sono normalmente una triple threats, questo Cast è una sorta di quadruple threats, perché oltre a cantare, ballare e recitare è in grado di eseguire elaborate routine che culminano in formazioni torreggianti e piramidi umane dopo spettacolari salti mortali. 




Pur avendo un taglio leggero, è probabile che gli appassionati di teatro musicale rimarranno sorpresi dal pedigree di molti dei creatori di questo musical: le musiche sono di Tom Kitt, il compositore vincitore del Premio Pulitzer per NEXT TO NORMAL, e di quel Lin-Manuel Miranda dei pluripremiati IN THE HEIGHTS e HAMILTON, le liriche sono del suddetto Miranda e di Amanda Green, figlia del grande Adolph Green; il libretto è opera di Jeff Whitty che ha portato a casa un Tony per il musical satirico AVENUE Q. 


Il materiale artistico, alternativamente irriverente e sentimentale, è diviso tra due High School in competizione: la compassata Truman e la più anticonformista Jackson, dove tutti possono "Do Their Own Thing". Kitt affronta la Truman, Miranda, con liriche da cui si intuisce subito il suo marchio di fabbrica, la Jackson. Questo dà un interessante elemento di disarticolazione all'intero lavoro (un plauso all’ottima direzione musicale di Roberto Tomassoli), ed è intrigante cercare di individuare quale creativo ha affrontato quale numero, ad esempio a volte cogli un accenno di HAMILTON: "Friday Night, Jackson" ha gli "hey" di "Helpless", mentre "It's All Happening" ha un'aria di "The Schuyler Sisters". 

Eugenio Contenti, che si è occupato della regia e delle spettacolari coreografie, con l’imprescindibile assistenza della sorella Silvia Contenti, ha visto la competizione tra ragazze come una sottile metafora della società odierna e ha dato al musical un ritmo serrato cercando (e riuscendo!) a mostrare la storia delle cheerleader come veicolo per raccontare alcuni temi nei quali chiunque nel pubblico potrà rispecchiarsi quali amicizia, tradimento, accoglienza, rischio dell’omologazione, consapevolezza del proprio potenziale. 

Sveva Petruzzellis, brillantemente calata nel ruolo, interpreta con un vivace senso di determinazione e profondità graduale la capo cheerleader Campbell; la nostra eroina è pronta a guidare la squadra della sua scuola in competizione quando viene trasferita alla Jackson, che, disastrosamente, non ha una squadra di cheerleader. Questa è ovviamente una notizia devastante per lei ma ottima per tutti noi visto che lo spettacolo sale di livello con un eccitante groove musicale quando Campbell inizia a mescolarsi con gli studenti più tosti della Jackson, tra le quali Danielle, la capo della crew di ballo hip-hop della scuola. In questa fase la mano di Miranda emerge in primo piano e la sua capacità di produrre astuti rap in rima guida le sequenze più propulsive dello spettacolo, incluso un delirante numero in cui Campbell dimostra la sua volontà di entrare nella crew e, soprattutto, all'inizio del secondo atto per lo show-stopper "It's All Happening", che ha l'inconfondibile senso del momento e l'atteggiamento verso l'alto di Miranda! Questo numero racconta come Campbell convince Danielle (una superba Vittoria Sardo che fornisce impulso e si trova esattamente nel cuore emotivo della conflittuale amicizia) a creare una squadra di cheerleader a cui Campbell si unisce per competere contro i suoi vecchi compagni di scuola guidati da Eva (a cui Alice Borghetti regala una vivace e geniale malvagità da applausi a scena aperta), l'ex pupilla di Campbell i cui intrighi l'hanno portata in cima alla piramide del tifo della Truman.

 


BRING IT ON corre allegramente attraverso diverse sottotrame, forse un po’ prevedibili, sul legame attraverso il divario sociale. Campbell, è improvvisamente l'estranea goffa, ansiosa di adattarsi, mentre la sua collega di quartiere, la paffuta Bridget (un'accattivante Chiara Bonfrisco), scopre che il senso della moda stravagante che la emarginava alla Truman le dà un po' di prestigio da strada alla Jackson. Il libretto di Whitty ha il buon senso di prendere in giro le dinamiche narrative ben consunte del musical. Mentre lo spettacolo si avvicina all'inevitabile happy end, Skylar (la brava Valentina Pini dallo spirito cattivo ma spassosa e impertinente), soddisfatta di sé, riflette: "Oh mio dio, ognuno di loro ha superato tutto questo con una crescita personale, ma io sono esattamente la stessa persona di un anno fa". Con un sorriso luminoso, aggiunge: "Oh bene! Mi piaccio. L'ho sempre fatto".


Alessandro Caria 

L'affascinante simbolismo di Bernarda Alba

 La scorso 2 giugno 2022 ho avuto modo di rivedere il musical BERNARDA ALBA, primo appuntamento del Summer Musical Festival 2022 della BSMT. Lo spettacolo fu già presentato al Parco di Villa Angeletti nel 2017 mentre stavolta la location è quella del Bologna Open Air Theatre. Saverio Marconi è tornato a digerire questo lavoro e se mai ci fosse un momento giusto per una rivalutazione dell'ultima opera di Federico García Lorca – scritta come baluardo contro la marea dell'estremismo di destra che si stava diffondendo in tutta Europa, poco prima di essere giustiziato dalla milizia fascista nel 1936 – doveva essere adesso! Il genio di García Lorca è stato quello di collocare la politica nell'arena domestica, dimostrando come i fallimenti di una singola famiglia possano riflettere il destino delle nazioni. 



La matriarca vedova Bernarda (resa con il giusto tono da un'ottima Mariachiara Di Giacomo) fissata da idee di onore e decoro, gestisce la sua casa come una dittatura e imprudentemente rinchiude le sue figlie nubili dopo la morte del marito, sottoponendole a un regno di terrore domestico basato sullo status, l'autorità e gli imperativi della vita rurale che si “autoavverano”. Come sottolinea Martirio, la più fatalista delle sorelle: «La storia ha l'abitudine di ripetersi. Questa è tutta la vita: le cose si ripetono». Saverio Marconi ha colto sapientemente il potenziale nella storia di BERNARDA ALBA, con una regia attenta ai simboli: l’acqua (se scorre è vita, se ristagna è morte), il calore (il caldo opprimente come disagio esistenziale delle figlie), il cavallo (la passione scalpitante, l’istinto irrefrenabile) e il verde (la libertà trovata o nella follia o nella morte) e in particolare riesce a infondere quell'aura ipnotica di fatalismo che mantiene il pubblico inchiodato. Le protagoniste, tra cui spicca l'intensa Adela di Chiara Perri, sono scenicamente “rinchiuse” in un perimetro fatto di pietre, a sottolineare uno spazio lirico ed astratto ma anche arcaico all'interno del quale vige l'immobilismo nei confronti dell'autoritarismo, della religiosità ipocrita, della repressione sessuale. I novanta minuti dello spettacolo mostrano inequivocabilmente ciò che può accadere alle donne quando vengono private della possibilità di perseguire ciò che viene naturale con il sesso opposto. Molto di ciò che è implicito nel testo di Lorca è reso rumorosamente e ripetutamente esplicito. I membri del cast, di sole donne eccetto l'Uomo del sogno, le vediamo sbattere i piedi, far scorrere i palmi delle mani sulle anche, emettendo rumori stridenti suggerendo animali in calore e cantando solennemente che i loro dolori non sono i dolori della fame e tutto ciò è chiaramente evidenziato dai movimenti coreografici pensati da Gillian Bruce a sottolineare la lotta tra quella cappa di claustrofobia e il desiderio di evasione. 


Tutta questa atmosfera minacciosa e opprimente che rende il dramma poetico di Lorca molto più di una pentola a pressione pronta ad esplodere è resa bene dalle musiche cupe e intrise di flamenco di LaChiusa, in perfetta sintonia con le passioni crescenti delle sorelle frustrate, che vedono il loro futuro scivolare via mentre cuciono i corredi di cui non avranno mai bisogno. Ci sono momenti in cui LaChiusa trova il modo di usare la partitura per scavare nella vita interiore delle donne e renderla visibile. La musica, superbamente suonata da un Ensemble finemente coordinato e guidato da Maria Galantino, è fatta di guaiti punteggiati; le ondeggianti note sostenute in tonalità minori; i labirintici percorsi musicali interiori; le eruzioni nell'asprezza antimelodica – queste sono tutte più roba da opere da camera della metà del XX secolo che da tradizionali melodie da spettacolo Broadway style. Sempre ottima la direzione musicale di Shawna Farrell.

Alessandro Caria

giovedì 5 maggio 2022

TURANDOT, AL REGIO L’INTRIGANTE ENIGMA FANTASY FIRMATO BERNÀCER E PODA.

 

TURANDOT, AL REGIO L’INTRIGANTE ENIGMA FANTASY FIRMATO BERNÀCER E PODA.

Sarà per l’esotismo da cineserie o per un certo gusto fantasy e fiabesco, ma Turandot si presta più di altre opere ad allestimenti kitsch. Per questo si fa apprezzare particolarmente l’allestimento in scena al Teatro Regio di Torino, a cura – per tutti gli aspetti registici e visivi – di Stefano Poda, che incastona l’allestimento, di rara pulizia, eleganza ed equilibrio lineare, in una quadratura monocroma, raramente interrotta da rari sprazzi di colore, come il rosso della gonna della protagonista, e impreziosita da varia attrezzeria dal fascino simbolico: sfere, caschi, lance, archi e frecce. Ma l’elemento più dirompente, innovativo e caratterizzante di questo allestimento è senz’altro l’apparato coreografico, sempre firmato da Poda, che impegna il validissimo ensemble di ballerini in configurazione laocoontiche, difficili movimenti a canone, vere e proprie sculture umane di candidi corpi nudi a sottolineare la magmatica partitura pucciniana ed esaltarne la modernità.


                



Ci sorprendiamo a innamorarci, come fosse la prima volta, dalle ammalianti note della Turandot, che come le sirene di Ulisse ci trascinano in un mondo altro: ecco perché possiamo parlare pienamente di fantasy. Al posto di un armadio magico, di un binario fatato, di un anello dai poteri sovrannaturali, la musica di Puccini ci trasporta sin dalle prime, struggenti note, in una Cina fantastica, un crudele regno in cui l’amore si paga con la morte, in cui per ottenere la mano di una perfida principessa imperiale bisogna risolvere tre impossibili enigmi. Ci riuscirà il principe Calaf, che ribalterà il gioco degli indovinelli offrendo alla riluttante promessa la possibilità di evitare il matrimonio scoprendo il proprio nome. 

           

Il pericoloso gioco d’amore avrà una vittima sacrificale: la sua fedele e innamorata schiava Liù rifiuterà di rivelare il nome del principe e pagherà con la vita la sua devozione. Lo stesso Puccini riteneva l’intenso coro funebre in suo onore la migliore conclusione del dramma, anche se in alcune versione si preferisce un finale spurio con le nozze dei protagonisti. 

                

Melodramma di amore, morte ed enigmi quindi, ma l’enigma più inestricabile ce lo lancia il compositore, immergendoci in sonorità che ci avvincono e ci lasciano interdetti per come l’estasi estetica si sposa all’efficacia drammaturgica. Non manca il dispiegarsi potente della melodia, come nella celeberrima Nessun dorma, ma è nei momenti meno noti e più rarefatti che si dischiude la meraviglia, come in un prezioso scrigno. 

                

Così come non mancano, nella tavolozza dei toni scenici, la comicità cinica dei tre ministri Ping, Pang e Pong (i bravi Simone Del Savio, Manuel Pierattelli e Alessandro Lanzi), che questa regia mostra indaffarati a imbalsamare i defunti pretendenti falliti, in una scena dal gelido humour inglese.
Ottimo tutto il cast, con punte di emozione e acclamazione per il pathos e la voce cristallina della Liù di Giuliana Gianfaldoni, come per la potenza solo un po’ tetragona di Mikheil Sheshaberidze (Calaf), e la malia dell’algida Turandot di Ingela Brimberg. Convincente come sempre l’orchestra del Regio, sotto la guida del piglio brioso e appassionato della bacchetta dello spagnolo Jordi Bernàcer.
Insomma un’edizione fresca, innovativa, in cui il coraggio e il gusto delle scelte artistiche non va a discapito della coerenza e del rispetto nei confronti dell’opera e della partitura, troppo spesso sacrificati sull’altare dell’originalità a tutti i costi. 

Franco Travaglio