lunedì 1 luglio 2019

Bonaventura prigioniero nell'isola di Latella


Ha debuttato lo scorso 28 maggio in prima nazionale al Teatro Carignano “L’isola dei pappagalli con Bonaventura prigioniero degli antropofagi” di Sergio Tofano e Nino Rota,
nuova produzione del Teatro Stabile di Torino con la regia di Antonio Latella.
Si tratta di una rivisitazione della commedia musicale con al centro il personaggio simbolo del Corriere dei Piccoli, con l'iconico “milione”, le storiche illustrazioni, e le caratteristiche didascalie in rima, un sorta di fumetto ante-litteram. Non conosciamo la produzione originale del 1985, creata dal regista Franco Passatore e interpretato da un Latella diciottenne, ma doveva essere un capolavoro. Questo per la proprietà transitiva, perché l’effetto suscitato dalla rilettura Latelliana è lo stesso del suo "Natale in casa Cupiello" di Eduardo visto recentemente, sempre al Carignano. Il signor Bonaventura infatti, più che degli antropofagi, si trova prigioniero di una messa in scena che mette a dura prova la resistenza del pubblico. La cifra registica del regista di Castellammare di Stabia sembra infatti la staticità: se tutto il primo atto del Natale era recitato col cast immobile rivolto al pubblico, qui Bonaventura è su una sedia a rotelle, per motivazioni profonde che sfuggono ai più. L'unica emozione che tocca lo spettatore è purtroppo la noia (tranne dalle parti delle poltrone occupate da alcuni critici teatrali avvezzi e affezionati alla sofferenza teatrale). Questo soprattutto per colpa dell’approccio musicale, una sorta di melologo a cappella (o quando va bene con sottofondo dissonante), che invece di alleggerire un racconto che potrebbe pure riuscire (non sia mai!) appetibile per il pubblico dalle famiglie, riesce nell'impresa di appesantirlo a dismisura. Complice la chiave narrativa basata su un racconto in terza persona impossibile da seguire (sfido chiunque a raccontare la trama) anche perché slegato da qualsivoglia collegamento immediato con l'apparato visivo, peraltro variopinto, gradevole e fantasioso (scene di Giuseppe Stellato e costumi di Graziella Pepe). Difficile farsi un’idea del livello qualitativo del cast, costretto dal minimalismo di Latella a non tirare fuori qualità degne di nota. Li citiamo tutti comunque per rispetto: Michele Andrei, Caterina Carpio, Leonardo Lidi, Francesco Manetti, Barbara Mattavelli, Marta Pizzigallo, Alessio Maria Romano, Isacco Venturini. Tirando le somme possiamo dire che nello sforzo di non essere commerciali si sforna un prodotto che lascia più che altro indifferenti. E sì che gli ingredienti c’erano tutti: un personaggio ancora vivo nei ricordi d'infanzia dei nonni di oggi, che avrebbero potuto trascinare figli e nipoti a riscoprirlo; la possibilità di fare concorrenza a Disney & C. con uno spettacolo musicale tutto italiano; la possibilità di riascoltare musiche di un maestro come Nino Rota (rese inascoltabili dall'esecuzione di Franco Visioli) e di riscoprire un genio della narrativa come 'Sto' (relegato ormai alle definizioni dei cruciverba). Ma si sa che le parole “popolare” e “commerciale” sono rigettate come parolacce oscene dalla sopravvalutata intellighenzia teatrale italiana. E i risultati – purtroppo – sono sotto gli occhi di tutti.
Franco Travaglio