mercoledì 5 luglio 2023

UNA FRESCA DODICESIMA NOTTE SUL PRATO INGLESE TRA BURLE E INTRIGHI

 

La Dodicesima Notte, Matteo Alì, Giordana Faggiano © CLARISSA LAPOLLA 

“Tempo sciogli tu questo groviglio”. Sta tutto in questo auspicio il delizioso gioco teatrale de La dodicesima notte, nuova produzione de Il Prato Inglese dello Stabile di Torino che come consuetudine da ormai tre estati sparge verde freschezza nella platea del Teatro Carignano. 
Se il prato in sala non può che essere artificiale la freschezza sul palcoscenico è reale: la macchina di finzioni, fingimenti, travestimenti, amori veri e finti, burle, scherzi del caso, finte passioni ricambiate e reali attrazioni impossibili, trasmette una spensierata leggerezza trapunta di emozioni, sorprese e caratteri irresistibili. 
La base narrativa è quella, vecchia come il teatro, dei gemelli identici che spargono ad ogni passo malintesi e scambi di persona, con la variante un po’ maliziosa che qui non si tratta di due fratelli separati alla nascita, ma di sorella e fratello dispersi in un naufragio. Ognuno crede l’altro morto tra i marosi, e l’agnizione finale aggiunge incredulo pathos all’inevitabile lieto fine. Sì, perché entrambi, vivi e vegeti, sbarcano invece, come scrive il regista Leo Muscato, in “un’isola misteriosa e fantastica, un luogo in cui tutto diviene preda del caos e ogni cosa s’immerge in una immobile, mitica irrealtà. Siamo in Illiria, e le sue coste segnano il confine fra un mondo reale e uno immaginario.”

La Dodicesima Notte, La Compagnia © CLARISSA LAPOLLA 

A complicare l’intrigo una sorta di scambio di coppie: la sorella, Viola (una ispirata Giordana Faggiano) è innamorata di Orsino, Duca d’Illiria, a sua volta perso d’amore per la Contessa Olivia, la quale prende una cotta per Viola, nel frattempo travestitasi da Cesario. Tutto si sistemerà quando Olivia sposerà per sbaglio il gemello maschio, e Orsino apprezzerà le grazie di Viola, tornata in abiti femminili.

La Dodicesima Notte, Martina Sammarco, Fabrizio Costella © CLARISSA LAPOLLA 

Ma può bastare il plot principale alla felice bulimia shakespeariana? Non scherziamo. E proprio agli scherzi pensa un terzetto irresistibile: l’intrigante dama di compagnia Maria, il godereccio cugino Sir Toby e il ridanciano Fabian. Tipici abitanti dell’isola, che “non hanno ambizioni, desiderio di potere, di gloria, di ricchezza. Vivono del qui e ora.” I tre, (Marta Cortellazzo Wiel, Michele Schiano di Cola e Valentina Spaletta Tavella, uno più bravo dell’altra) grazie a false dichiarazioni d’amore di Olivia riducono il suo maggiordomo Malvolio (l'espressivo Alfonso De Vreese) a zimbello da manicomio, e si prendono gioco del pavido spasimante Sir Andrew, con tanto di finto duello all’ultimo svenimento con Viola/Cesario.

La Dodicesima Notte,  da sinistra Stefano Guerrieri, Marta Cortellazzo Wiel, Valentina Spaletta Tavella, Alfonso De Vreese, Michele Schiano Di Cola © CLARISSA LAPOLLA 

Ci sono anche il buffone Feste (Alice Spisa: ruba la scena a tutti) il Padre Topas 'alla sicula' di Elena Aimone (a dimostrare l’adagio per cui ci sono piccole parti e attrici maiuscole) e la sorprendente Musicante Celeste Gugliandolo, che accompagna tutta la messa in scena suonando e cantando dal vivo.

La Dodicesima Notte, davanti Celeste Gugliandolo. Dietro la Compagnia
© CLARISSA LAPOLLA 

La regia di Muscato asseconda tali tanti talenti con ritmo, spirito e tempi comici perfetti, aiutato dalla fascinosa scenografia di Andrea Belli (i rami di un salice che si fanno fondale e quinte nascondendo la realtà, esattamente come gli intrighi della trama celano la verità) e dal geniale bric-à-brac costumistico di Giovanna Fiorentini.
Alla fine il gioco è talmente irresistibile che lo spettatore spera che la matassa, invece di dipanarsi, non faccia che ingarbugliarsi in eterno, per non dover mai abbandonare la magica isola del sogno e poter vivere sempre in questo scherzoso, intrigante, 'qui e ora'.

Franco Travaglio


venerdì 3 marzo 2023

DA MAMOIADA A MACONDO AFFABULANDO D'INCANTO COL TANGO DI FRESU E GALLIONE


E’ un’esperienza teatrale difficilmente classificabile questo Tango Macondo scritto e diretto da Giorgio Gallione e liberamente ispirato all’opera letteraria Il venditore di metafore di Salvatore Niffoi. La cifra più calzante è quella dell’affabulazione, ma i tanti racconti, intrecciati in uno schema metanarrativo in continuo movimento, sono allestiti con il costante apporto di una  meraviglia visiva, di un incanto spettacolare che abbinato alle interpretazioni attoriali e alla fascinosa componente musicale creano un insieme di sfaccettature e suggestioni come in un enorme caleidoscopio vivente. Ugo Dighero (noto al grande pubblico per i suoi surreali personaggi in un’indimenticabile edizione di Mai Dire Goal e nato artisticamente nel gruppo dei Broncoviz accanto a Marcello Cesena, Maurizio Crozza, Ugo Dighero, Mauro Pirovano e Carla Signoris) è Matoforu, cantore sardo che decide di partire da Mamoiada, paese dalle maschere grottesche, tipiche del floklore sardo, per guadagnarsi da vivere vendendo storie accompagnato del suo grande amore, la cantante Anzelina (Rosanna Naddeo), e raggiungere Macondo, il paese immaginario nato dall’universo onirico e mitico di Gabriel García Márquez. 


Il loro viaggio immaginifico è contrappuntato dalle storie più stravaganti affollate di insetti giganti, luoghi incredibili, città incantate. Gallione, ben coadiuvato dalle scene di Marcello Chiarenza, le coreografie di Giovanni Di Cicco, il disegno luci di Aldo Mantovani e i costumi di Francesca Marsella dimostra un’inesauribile inventiva visiva riempiendo il palco di alberi luminosi, elaborate strutture oniriche, animali fantastici, elementi della natura, astri scesi in terra, case-giocattolo: tutti i prodotto immaginifici della fervida fantasia di Matoforu (non a caso storpiatura insulare del termine “metafora”, quasi a suggerire che ogni favola non è solo un gioco come dice Bennato ma la proiezione fantastica di un’idea, di un viaggio, di una sensazione, di un tema, prettamente umani e reali) prendono insomma vita e riempiono di stupore infantile i nostri occhi.


Ma non affascinerebbe e catturerebbe così tanto lo spettatore questa fantasmagoria se non avesse come “sottofondo” (togliendo al termine tutto l’aspetto accessorio e di tappezzeria sonora: la musica è come non mai protagonista assoluta, mai comprimaria) la tromba e gli arrangiamenti dal vivo del gigante della tromba Paolo Fresu, che alterna il suo strumento d’elezione a un ancor più fiabesco flicorno, e al suo fianco Daniele Di Bonaventura (bandoneon), Pierpaolo Vacca (organetto). Sono emozioni vivide quelle che sprigionano ad ogni nota, spesso avvalendosi anche della voce della Naddeo, e per gli altri personaggi di Paolo Li Volsi, mentre i danzatori/trici sono Luca Alberti, Caterina Montanari, Valentina Squarzoni e Francesca Zaccaria.


Uno show che sfida la nostra capacità a seguire una storia narrata in terza persona e in uno spazio/tempo altro e rarefatto, immersi come siamo nella pornografia del qui e ora che ci impedisce di staccare i piedi dalla terra e volare in altri mondi. 

Chi ci è riuscito ha passato una serata d’incanto.

Franco Travaglio



venerdì 3 febbraio 2023

FORTUNATISSIMO PER VERITA'

Il Barbiere di Siviglia firmato Pierre-Emmanuel Rousseau incanta e diverte il Regio di Torino

Paradigma della trasgressione interclassista in tutte le sue declinazioni letterarie e musical-teatrali, personaggio libero per antonomasia e trafficone per definizione, Figaro è un ruolo ambito e oggetto di mille (re)intepretazioni, grazie a una modernità travolgente e la sua intrinseca irrefrenabile vitalità. 


Nella bella regia di Pierre-Emmanuel Rousseau, che vive una affinità assonante con il compositore dell’opera, l’opera buffa per eccellenza assume un fascino magnetico e un’energia sempre ben calibrata e da cui è difficile non cadere affascinati. Ma il pregio maggiore dell'edizione vista al Teatro Regio di Torino lo scorso 28 gennaio 2023 e curata dal regista francese è la sua freschezza, il fascino di uno show visivamente ipnotico, e nel contempo attentissimo alle peculiarità drammaturgiche di  tutti i personaggi, dai più facili ai più ostici, senza perdere mai il brio e la cura del ritmo, ma soprattutto mantenendo un rispetto assoluto di libretto e partitura. 




Rousseau ha capito, e non è scontato, che per confezionare una messa in scena innovativa non è necessario, come troppo spesso accade di vedere, stravolgere ambientazioni e situazioni ma basta attingere a quella miniera d’oro di inventiva e forza centrifuga che è la partitura rossiniana. 
Il Maestro, che è forse il vero inventore del concetto moderno di ‘showstopper’, dissemina il pentagramma di mille effetti e trovate, per cui basta l’intelligenza di un bravo metteur en scène per trasformarle in gag, siparietti, (balletti addirittura!), spassosissimi ma senza perdere di verità e di schiettezza. 


Come non citare ad esempio le colorature della cavatina Una voce poco fa, che diventano urletti di una Rosina (un’affascinante Mara Gaudenzi, che impressiona per l’aderenza al ruolo e la voce cristallina) infastidita dalla malagrazia con cui Berta le pettina i capelli, oppure le effusioni segrete di Rosina e Almaviva (un multiforme Nico Darmanin) alle spalle (letteralmente) del barbogio don Bartolo, sottolineate da specifici richiami della partitura. Ma tutta la regia è un tripudio di idee, dal frattacchione simil-rasputiniano Basilio, dotato di poteri sovrannaturali e 'domotici' ante-litteram, visto che spalanca a distanza persiane e attiva fumi ed effetti speciali al suo apparire.
Rodion Pogossov è un Figaro guascone, spaccone, abile con ben altre lame piuttosto che quelle che ci si aspetterebbe da un mansueto barbiere, sfrontato nel rapporto con i “padroni” tanto da farsi un bagnetto nella fontanella domestica accanto a Rosina, insomma un Rugantino impunito con mossette tra Elvis e Celentano.


Molto affascinanti le scene e i costumi, sempre di Rousseau, che attinge a una paletta di colori e motivi ornamentali che ci trasportano immediatamente nella stupenda città spagnola tra cappe, balconcini moreschi, soffitti a rosone, piastrelle, inferriate, un piacere per gli occhi che ben si sposa al piacere sonoro di una partiture immortale, che come il protagonista non finirà mai di intrigare il pubblico.

Franco Travaglio