lunedì 27 novembre 2023

 La famiglia Addams in un gradevole allestimento “d’altri tempi”


Ispirandosi alla nota serie televisiva degli anni Sessanta, la Compagnia della Corona riporta a teatro “La famiglia Addams”, le cui vicende paradossali e ricche di humour nero hanno origine dal fumetto creato da Charles Addams negli anni Trenta. Ad accogliere il pubblico in sala, ci pensa il simpaticissimo Cugino Itt (personaggio non presente nella versione originale del musical, scritto da Marshall Brickman e Rick Elice, con musiche di Andrew Lippa).

L’allestimento diretto da Salvatore Sito colpisce soprattutto per l’impostazione scenica, che utilizza magistralmente videoproiezioni dall’efficace impatto visivo (a cominciare dalla mitica Mano, che introduce il pubblico nella adeguata atmosfera da serie tv).

Le scenografie di Davide Amadei, recentemente scomparso, mantengono l’imprescindibile carattere dark dell’allestimento, rendendo di fatto lo spettacolo una “commedia musicale d’altri tempi”: si nota l’abbondanza di elementi di scena molto curati (dalle bellissime tombe, all’imponente ingresso della cripta degli antenati); ed è proprio l’ensemble degli antenati a catturare l’immediata attenzione degli spettatori, grazie a costumi e trucco decisamente appropriati e curati nel dettaglio e alle coreografie – semplici, ma divertenti e funzionali – di Silvia Raschi.

Andrea Rodi è un convincente Gomez Addams, abile nel districarsi tra esaudire il sogno d’amore “normale” della sua unica figlia e cercare di non mentire alla propria esigente moglie; nonostante la buona tessitura vocale, non si spende più di tanto nel canto, ma a livello interpretativo, dimostra una disinvolta padronanza dei tempi comici.


Barbara Corradini, mette al completo servizio dello spettacolo la sua esperienza di veterana del musical (l’abbiamo vista in Flashdance, Gypsy e, recentemente, Carousel al Comunale di Bologna), instaurando un adeguato in scena con il suo partner, in particolare nella scena del tango.


Buona parte del cast è composto da ex-allievi della BSMT di Bologna; Guido Turchi, nel ruolo di Fester, non brilla particolarmente dal punto di vista vocale, ma la sua “storia d’amore a distanza” con la luna – è resa decisamente più poetica proprio grazie all’ausilio delle già citate videoproiezioni.

Il Pugsley (un po’ troppo cresciuto) di Pasquale Gramegna sembra tenersi un po’ in disparte, soprattutto all’inizio del primo atto, ma nel corso dello spettacolo riesce comunque a rendere al meglio le inquietudini preadolescenziale di un fratello che teme di perdere il sadico affetto della sorella maggiore che si sta affacciando all’amore e alla vita adulta.


Antea Galli (Mercoledì) e Mattia Baldacci (Lucas) risultano personaggi complementari, ma in maniera insolita: lei cerca di mantenere faticosamente un’indole impulsiva, mentre lui spesso si abbandona a momenti di controllata spavalderia, che nascondono senza motivo le genuine insicurezze del personaggio.

Anche in questo allestimento, il personaggio di Lurch (interpretato da Luca Gallo) lascia il segno per la sua “rassicurante” presenza scenica, l’infallibile espressività del volto e il toccante ritornello finale, a lui affidato con il canto.


Insomma, questa versione “d’altri tempi” della Famiglia Addams è uno spettacolo ben confezionato e gradevole da vedere, con interessanti soluzioni sceniche che attenuano la debolezza di fondo della drammaturgia originale.

Roberto Mazzone


mercoledì 5 luglio 2023

UNA FRESCA DODICESIMA NOTTE SUL PRATO INGLESE TRA BURLE E INTRIGHI

 

La Dodicesima Notte, Matteo Alì, Giordana Faggiano © CLARISSA LAPOLLA 

“Tempo sciogli tu questo groviglio”. Sta tutto in questo auspicio il delizioso gioco teatrale de La dodicesima notte, nuova produzione de Il Prato Inglese dello Stabile di Torino che come consuetudine da ormai tre estati sparge verde freschezza nella platea del Teatro Carignano. 
Se il prato in sala non può che essere artificiale la freschezza sul palcoscenico è reale: la macchina di finzioni, fingimenti, travestimenti, amori veri e finti, burle, scherzi del caso, finte passioni ricambiate e reali attrazioni impossibili, trasmette una spensierata leggerezza trapunta di emozioni, sorprese e caratteri irresistibili. 
La base narrativa è quella, vecchia come il teatro, dei gemelli identici che spargono ad ogni passo malintesi e scambi di persona, con la variante un po’ maliziosa che qui non si tratta di due fratelli separati alla nascita, ma di sorella e fratello dispersi in un naufragio. Ognuno crede l’altro morto tra i marosi, e l’agnizione finale aggiunge incredulo pathos all’inevitabile lieto fine. Sì, perché entrambi, vivi e vegeti, sbarcano invece, come scrive il regista Leo Muscato, in “un’isola misteriosa e fantastica, un luogo in cui tutto diviene preda del caos e ogni cosa s’immerge in una immobile, mitica irrealtà. Siamo in Illiria, e le sue coste segnano il confine fra un mondo reale e uno immaginario.”

La Dodicesima Notte, La Compagnia © CLARISSA LAPOLLA 

A complicare l’intrigo una sorta di scambio di coppie: la sorella, Viola (una ispirata Giordana Faggiano) è innamorata di Orsino, Duca d’Illiria, a sua volta perso d’amore per la Contessa Olivia, la quale prende una cotta per Viola, nel frattempo travestitasi da Cesario. Tutto si sistemerà quando Olivia sposerà per sbaglio il gemello maschio, e Orsino apprezzerà le grazie di Viola, tornata in abiti femminili.

La Dodicesima Notte, Martina Sammarco, Fabrizio Costella © CLARISSA LAPOLLA 

Ma può bastare il plot principale alla felice bulimia shakespeariana? Non scherziamo. E proprio agli scherzi pensa un terzetto irresistibile: l’intrigante dama di compagnia Maria, il godereccio cugino Sir Toby e il ridanciano Fabian. Tipici abitanti dell’isola, che “non hanno ambizioni, desiderio di potere, di gloria, di ricchezza. Vivono del qui e ora.” I tre, (Marta Cortellazzo Wiel, Michele Schiano di Cola e Valentina Spaletta Tavella, uno più bravo dell’altra) grazie a false dichiarazioni d’amore di Olivia riducono il suo maggiordomo Malvolio (l'espressivo Alfonso De Vreese) a zimbello da manicomio, e si prendono gioco del pavido spasimante Sir Andrew, con tanto di finto duello all’ultimo svenimento con Viola/Cesario.

La Dodicesima Notte,  da sinistra Stefano Guerrieri, Marta Cortellazzo Wiel, Valentina Spaletta Tavella, Alfonso De Vreese, Michele Schiano Di Cola © CLARISSA LAPOLLA 

Ci sono anche il buffone Feste (Alice Spisa: ruba la scena a tutti) il Padre Topas 'alla sicula' di Elena Aimone (a dimostrare l’adagio per cui ci sono piccole parti e attrici maiuscole) e la sorprendente Musicante Celeste Gugliandolo, che accompagna tutta la messa in scena suonando e cantando dal vivo.

La Dodicesima Notte, davanti Celeste Gugliandolo. Dietro la Compagnia
© CLARISSA LAPOLLA 

La regia di Muscato asseconda tali tanti talenti con ritmo, spirito e tempi comici perfetti, aiutato dalla fascinosa scenografia di Andrea Belli (i rami di un salice che si fanno fondale e quinte nascondendo la realtà, esattamente come gli intrighi della trama celano la verità) e dal geniale bric-à-brac costumistico di Giovanna Fiorentini.
Alla fine il gioco è talmente irresistibile che lo spettatore spera che la matassa, invece di dipanarsi, non faccia che ingarbugliarsi in eterno, per non dover mai abbandonare la magica isola del sogno e poter vivere sempre in questo scherzoso, intrigante, 'qui e ora'.

Franco Travaglio


venerdì 3 marzo 2023

DA MAMOIADA A MACONDO AFFABULANDO D'INCANTO COL TANGO DI FRESU E GALLIONE


E’ un’esperienza teatrale difficilmente classificabile questo Tango Macondo scritto e diretto da Giorgio Gallione e liberamente ispirato all’opera letteraria Il venditore di metafore di Salvatore Niffoi. La cifra più calzante è quella dell’affabulazione, ma i tanti racconti, intrecciati in uno schema metanarrativo in continuo movimento, sono allestiti con il costante apporto di una  meraviglia visiva, di un incanto spettacolare che abbinato alle interpretazioni attoriali e alla fascinosa componente musicale creano un insieme di sfaccettature e suggestioni come in un enorme caleidoscopio vivente. Ugo Dighero (noto al grande pubblico per i suoi surreali personaggi in un’indimenticabile edizione di Mai Dire Goal e nato artisticamente nel gruppo dei Broncoviz accanto a Marcello Cesena, Maurizio Crozza, Ugo Dighero, Mauro Pirovano e Carla Signoris) è Matoforu, cantore sardo che decide di partire da Mamoiada, paese dalle maschere grottesche, tipiche del floklore sardo, per guadagnarsi da vivere vendendo storie accompagnato del suo grande amore, la cantante Anzelina (Rosanna Naddeo), e raggiungere Macondo, il paese immaginario nato dall’universo onirico e mitico di Gabriel García Márquez. 


Il loro viaggio immaginifico è contrappuntato dalle storie più stravaganti affollate di insetti giganti, luoghi incredibili, città incantate. Gallione, ben coadiuvato dalle scene di Marcello Chiarenza, le coreografie di Giovanni Di Cicco, il disegno luci di Aldo Mantovani e i costumi di Francesca Marsella dimostra un’inesauribile inventiva visiva riempiendo il palco di alberi luminosi, elaborate strutture oniriche, animali fantastici, elementi della natura, astri scesi in terra, case-giocattolo: tutti i prodotto immaginifici della fervida fantasia di Matoforu (non a caso storpiatura insulare del termine “metafora”, quasi a suggerire che ogni favola non è solo un gioco come dice Bennato ma la proiezione fantastica di un’idea, di un viaggio, di una sensazione, di un tema, prettamente umani e reali) prendono insomma vita e riempiono di stupore infantile i nostri occhi.


Ma non affascinerebbe e catturerebbe così tanto lo spettatore questa fantasmagoria se non avesse come “sottofondo” (togliendo al termine tutto l’aspetto accessorio e di tappezzeria sonora: la musica è come non mai protagonista assoluta, mai comprimaria) la tromba e gli arrangiamenti dal vivo del gigante della tromba Paolo Fresu, che alterna il suo strumento d’elezione a un ancor più fiabesco flicorno, e al suo fianco Daniele Di Bonaventura (bandoneon), Pierpaolo Vacca (organetto). Sono emozioni vivide quelle che sprigionano ad ogni nota, spesso avvalendosi anche della voce della Naddeo, e per gli altri personaggi di Paolo Li Volsi, mentre i danzatori/trici sono Luca Alberti, Caterina Montanari, Valentina Squarzoni e Francesca Zaccaria.


Uno show che sfida la nostra capacità a seguire una storia narrata in terza persona e in uno spazio/tempo altro e rarefatto, immersi come siamo nella pornografia del qui e ora che ci impedisce di staccare i piedi dalla terra e volare in altri mondi. 

Chi ci è riuscito ha passato una serata d’incanto.

Franco Travaglio



venerdì 3 febbraio 2023

FORTUNATISSIMO PER VERITA'

Il Barbiere di Siviglia firmato Pierre-Emmanuel Rousseau incanta e diverte il Regio di Torino

Paradigma della trasgressione interclassista in tutte le sue declinazioni letterarie e musical-teatrali, personaggio libero per antonomasia e trafficone per definizione, Figaro è un ruolo ambito e oggetto di mille (re)intepretazioni, grazie a una modernità travolgente e la sua intrinseca irrefrenabile vitalità. 


Nella bella regia di Pierre-Emmanuel Rousseau, che vive una affinità assonante con il compositore dell’opera, l’opera buffa per eccellenza assume un fascino magnetico e un’energia sempre ben calibrata e da cui è difficile non cadere affascinati. Ma il pregio maggiore dell'edizione vista al Teatro Regio di Torino lo scorso 28 gennaio 2023 e curata dal regista francese è la sua freschezza, il fascino di uno show visivamente ipnotico, e nel contempo attentissimo alle peculiarità drammaturgiche di  tutti i personaggi, dai più facili ai più ostici, senza perdere mai il brio e la cura del ritmo, ma soprattutto mantenendo un rispetto assoluto di libretto e partitura. 




Rousseau ha capito, e non è scontato, che per confezionare una messa in scena innovativa non è necessario, come troppo spesso accade di vedere, stravolgere ambientazioni e situazioni ma basta attingere a quella miniera d’oro di inventiva e forza centrifuga che è la partitura rossiniana. 
Il Maestro, che è forse il vero inventore del concetto moderno di ‘showstopper’, dissemina il pentagramma di mille effetti e trovate, per cui basta l’intelligenza di un bravo metteur en scène per trasformarle in gag, siparietti, (balletti addirittura!), spassosissimi ma senza perdere di verità e di schiettezza. 


Come non citare ad esempio le colorature della cavatina Una voce poco fa, che diventano urletti di una Rosina (un’affascinante Mara Gaudenzi, che impressiona per l’aderenza al ruolo e la voce cristallina) infastidita dalla malagrazia con cui Berta le pettina i capelli, oppure le effusioni segrete di Rosina e Almaviva (un multiforme Nico Darmanin) alle spalle (letteralmente) del barbogio don Bartolo, sottolineate da specifici richiami della partitura. Ma tutta la regia è un tripudio di idee, dal frattacchione simil-rasputiniano Basilio, dotato di poteri sovrannaturali e 'domotici' ante-litteram, visto che spalanca a distanza persiane e attiva fumi ed effetti speciali al suo apparire.
Rodion Pogossov è un Figaro guascone, spaccone, abile con ben altre lame piuttosto che quelle che ci si aspetterebbe da un mansueto barbiere, sfrontato nel rapporto con i “padroni” tanto da farsi un bagnetto nella fontanella domestica accanto a Rosina, insomma un Rugantino impunito con mossette tra Elvis e Celentano.


Molto affascinanti le scene e i costumi, sempre di Rousseau, che attinge a una paletta di colori e motivi ornamentali che ci trasportano immediatamente nella stupenda città spagnola tra cappe, balconcini moreschi, soffitti a rosone, piastrelle, inferriate, un piacere per gli occhi che ben si sposa al piacere sonoro di una partiture immortale, che come il protagonista non finirà mai di intrigare il pubblico.

Franco Travaglio

lunedì 13 giugno 2022

Bring it on, una meraviglia irriverente tra sentimenti e acrobazie

Diciamo subito che questo BRING IT ON, secondo appuntamento con il Summer Musical Festival della BSMT,  è una meraviglia da vedere. Se gli artisti di teatro musicale sono normalmente una triple threats, questo Cast è una sorta di quadruple threats, perché oltre a cantare, ballare e recitare è in grado di eseguire elaborate routine che culminano in formazioni torreggianti e piramidi umane dopo spettacolari salti mortali. 




Pur avendo un taglio leggero, è probabile che gli appassionati di teatro musicale rimarranno sorpresi dal pedigree di molti dei creatori di questo musical: le musiche sono di Tom Kitt, il compositore vincitore del Premio Pulitzer per NEXT TO NORMAL, e di quel Lin-Manuel Miranda dei pluripremiati IN THE HEIGHTS e HAMILTON, le liriche sono del suddetto Miranda e di Amanda Green, figlia del grande Adolph Green; il libretto è opera di Jeff Whitty che ha portato a casa un Tony per il musical satirico AVENUE Q. 


Il materiale artistico, alternativamente irriverente e sentimentale, è diviso tra due High School in competizione: la compassata Truman e la più anticonformista Jackson, dove tutti possono "Do Their Own Thing". Kitt affronta la Truman, Miranda, con liriche da cui si intuisce subito il suo marchio di fabbrica, la Jackson. Questo dà un interessante elemento di disarticolazione all'intero lavoro (un plauso all’ottima direzione musicale di Roberto Tomassoli), ed è intrigante cercare di individuare quale creativo ha affrontato quale numero, ad esempio a volte cogli un accenno di HAMILTON: "Friday Night, Jackson" ha gli "hey" di "Helpless", mentre "It's All Happening" ha un'aria di "The Schuyler Sisters". 

Eugenio Contenti, che si è occupato della regia e delle spettacolari coreografie, con l’imprescindibile assistenza della sorella Silvia Contenti, ha visto la competizione tra ragazze come una sottile metafora della società odierna e ha dato al musical un ritmo serrato cercando (e riuscendo!) a mostrare la storia delle cheerleader come veicolo per raccontare alcuni temi nei quali chiunque nel pubblico potrà rispecchiarsi quali amicizia, tradimento, accoglienza, rischio dell’omologazione, consapevolezza del proprio potenziale. 

Sveva Petruzzellis, brillantemente calata nel ruolo, interpreta con un vivace senso di determinazione e profondità graduale la capo cheerleader Campbell; la nostra eroina è pronta a guidare la squadra della sua scuola in competizione quando viene trasferita alla Jackson, che, disastrosamente, non ha una squadra di cheerleader. Questa è ovviamente una notizia devastante per lei ma ottima per tutti noi visto che lo spettacolo sale di livello con un eccitante groove musicale quando Campbell inizia a mescolarsi con gli studenti più tosti della Jackson, tra le quali Danielle, la capo della crew di ballo hip-hop della scuola. In questa fase la mano di Miranda emerge in primo piano e la sua capacità di produrre astuti rap in rima guida le sequenze più propulsive dello spettacolo, incluso un delirante numero in cui Campbell dimostra la sua volontà di entrare nella crew e, soprattutto, all'inizio del secondo atto per lo show-stopper "It's All Happening", che ha l'inconfondibile senso del momento e l'atteggiamento verso l'alto di Miranda! Questo numero racconta come Campbell convince Danielle (una superba Vittoria Sardo che fornisce impulso e si trova esattamente nel cuore emotivo della conflittuale amicizia) a creare una squadra di cheerleader a cui Campbell si unisce per competere contro i suoi vecchi compagni di scuola guidati da Eva (a cui Alice Borghetti regala una vivace e geniale malvagità da applausi a scena aperta), l'ex pupilla di Campbell i cui intrighi l'hanno portata in cima alla piramide del tifo della Truman.

 


BRING IT ON corre allegramente attraverso diverse sottotrame, forse un po’ prevedibili, sul legame attraverso il divario sociale. Campbell, è improvvisamente l'estranea goffa, ansiosa di adattarsi, mentre la sua collega di quartiere, la paffuta Bridget (un'accattivante Chiara Bonfrisco), scopre che il senso della moda stravagante che la emarginava alla Truman le dà un po' di prestigio da strada alla Jackson. Il libretto di Whitty ha il buon senso di prendere in giro le dinamiche narrative ben consunte del musical. Mentre lo spettacolo si avvicina all'inevitabile happy end, Skylar (la brava Valentina Pini dallo spirito cattivo ma spassosa e impertinente), soddisfatta di sé, riflette: "Oh mio dio, ognuno di loro ha superato tutto questo con una crescita personale, ma io sono esattamente la stessa persona di un anno fa". Con un sorriso luminoso, aggiunge: "Oh bene! Mi piaccio. L'ho sempre fatto".


Alessandro Caria 

L'affascinante simbolismo di Bernarda Alba

 La scorso 2 giugno 2022 ho avuto modo di rivedere il musical BERNARDA ALBA, primo appuntamento del Summer Musical Festival 2022 della BSMT. Lo spettacolo fu già presentato al Parco di Villa Angeletti nel 2017 mentre stavolta la location è quella del Bologna Open Air Theatre. Saverio Marconi è tornato a digerire questo lavoro e se mai ci fosse un momento giusto per una rivalutazione dell'ultima opera di Federico García Lorca – scritta come baluardo contro la marea dell'estremismo di destra che si stava diffondendo in tutta Europa, poco prima di essere giustiziato dalla milizia fascista nel 1936 – doveva essere adesso! Il genio di García Lorca è stato quello di collocare la politica nell'arena domestica, dimostrando come i fallimenti di una singola famiglia possano riflettere il destino delle nazioni. 



La matriarca vedova Bernarda (resa con il giusto tono da un'ottima Mariachiara Di Giacomo) fissata da idee di onore e decoro, gestisce la sua casa come una dittatura e imprudentemente rinchiude le sue figlie nubili dopo la morte del marito, sottoponendole a un regno di terrore domestico basato sullo status, l'autorità e gli imperativi della vita rurale che si “autoavverano”. Come sottolinea Martirio, la più fatalista delle sorelle: «La storia ha l'abitudine di ripetersi. Questa è tutta la vita: le cose si ripetono». Saverio Marconi ha colto sapientemente il potenziale nella storia di BERNARDA ALBA, con una regia attenta ai simboli: l’acqua (se scorre è vita, se ristagna è morte), il calore (il caldo opprimente come disagio esistenziale delle figlie), il cavallo (la passione scalpitante, l’istinto irrefrenabile) e il verde (la libertà trovata o nella follia o nella morte) e in particolare riesce a infondere quell'aura ipnotica di fatalismo che mantiene il pubblico inchiodato. Le protagoniste, tra cui spicca l'intensa Adela di Chiara Perri, sono scenicamente “rinchiuse” in un perimetro fatto di pietre, a sottolineare uno spazio lirico ed astratto ma anche arcaico all'interno del quale vige l'immobilismo nei confronti dell'autoritarismo, della religiosità ipocrita, della repressione sessuale. I novanta minuti dello spettacolo mostrano inequivocabilmente ciò che può accadere alle donne quando vengono private della possibilità di perseguire ciò che viene naturale con il sesso opposto. Molto di ciò che è implicito nel testo di Lorca è reso rumorosamente e ripetutamente esplicito. I membri del cast, di sole donne eccetto l'Uomo del sogno, le vediamo sbattere i piedi, far scorrere i palmi delle mani sulle anche, emettendo rumori stridenti suggerendo animali in calore e cantando solennemente che i loro dolori non sono i dolori della fame e tutto ciò è chiaramente evidenziato dai movimenti coreografici pensati da Gillian Bruce a sottolineare la lotta tra quella cappa di claustrofobia e il desiderio di evasione. 


Tutta questa atmosfera minacciosa e opprimente che rende il dramma poetico di Lorca molto più di una pentola a pressione pronta ad esplodere è resa bene dalle musiche cupe e intrise di flamenco di LaChiusa, in perfetta sintonia con le passioni crescenti delle sorelle frustrate, che vedono il loro futuro scivolare via mentre cuciono i corredi di cui non avranno mai bisogno. Ci sono momenti in cui LaChiusa trova il modo di usare la partitura per scavare nella vita interiore delle donne e renderla visibile. La musica, superbamente suonata da un Ensemble finemente coordinato e guidato da Maria Galantino, è fatta di guaiti punteggiati; le ondeggianti note sostenute in tonalità minori; i labirintici percorsi musicali interiori; le eruzioni nell'asprezza antimelodica – queste sono tutte più roba da opere da camera della metà del XX secolo che da tradizionali melodie da spettacolo Broadway style. Sempre ottima la direzione musicale di Shawna Farrell.

Alessandro Caria

giovedì 5 maggio 2022

TURANDOT, AL REGIO L’INTRIGANTE ENIGMA FANTASY FIRMATO BERNÀCER E PODA.

 

TURANDOT, AL REGIO L’INTRIGANTE ENIGMA FANTASY FIRMATO BERNÀCER E PODA.

Sarà per l’esotismo da cineserie o per un certo gusto fantasy e fiabesco, ma Turandot si presta più di altre opere ad allestimenti kitsch. Per questo si fa apprezzare particolarmente l’allestimento in scena al Teatro Regio di Torino, a cura – per tutti gli aspetti registici e visivi – di Stefano Poda, che incastona l’allestimento, di rara pulizia, eleganza ed equilibrio lineare, in una quadratura monocroma, raramente interrotta da rari sprazzi di colore, come il rosso della gonna della protagonista, e impreziosita da varia attrezzeria dal fascino simbolico: sfere, caschi, lance, archi e frecce. Ma l’elemento più dirompente, innovativo e caratterizzante di questo allestimento è senz’altro l’apparato coreografico, sempre firmato da Poda, che impegna il validissimo ensemble di ballerini in configurazione laocoontiche, difficili movimenti a canone, vere e proprie sculture umane di candidi corpi nudi a sottolineare la magmatica partitura pucciniana ed esaltarne la modernità.


                



Ci sorprendiamo a innamorarci, come fosse la prima volta, dalle ammalianti note della Turandot, che come le sirene di Ulisse ci trascinano in un mondo altro: ecco perché possiamo parlare pienamente di fantasy. Al posto di un armadio magico, di un binario fatato, di un anello dai poteri sovrannaturali, la musica di Puccini ci trasporta sin dalle prime, struggenti note, in una Cina fantastica, un crudele regno in cui l’amore si paga con la morte, in cui per ottenere la mano di una perfida principessa imperiale bisogna risolvere tre impossibili enigmi. Ci riuscirà il principe Calaf, che ribalterà il gioco degli indovinelli offrendo alla riluttante promessa la possibilità di evitare il matrimonio scoprendo il proprio nome. 

           

Il pericoloso gioco d’amore avrà una vittima sacrificale: la sua fedele e innamorata schiava Liù rifiuterà di rivelare il nome del principe e pagherà con la vita la sua devozione. Lo stesso Puccini riteneva l’intenso coro funebre in suo onore la migliore conclusione del dramma, anche se in alcune versione si preferisce un finale spurio con le nozze dei protagonisti. 

                

Melodramma di amore, morte ed enigmi quindi, ma l’enigma più inestricabile ce lo lancia il compositore, immergendoci in sonorità che ci avvincono e ci lasciano interdetti per come l’estasi estetica si sposa all’efficacia drammaturgica. Non manca il dispiegarsi potente della melodia, come nella celeberrima Nessun dorma, ma è nei momenti meno noti e più rarefatti che si dischiude la meraviglia, come in un prezioso scrigno. 

                

Così come non mancano, nella tavolozza dei toni scenici, la comicità cinica dei tre ministri Ping, Pang e Pong (i bravi Simone Del Savio, Manuel Pierattelli e Alessandro Lanzi), che questa regia mostra indaffarati a imbalsamare i defunti pretendenti falliti, in una scena dal gelido humour inglese.
Ottimo tutto il cast, con punte di emozione e acclamazione per il pathos e la voce cristallina della Liù di Giuliana Gianfaldoni, come per la potenza solo un po’ tetragona di Mikheil Sheshaberidze (Calaf), e la malia dell’algida Turandot di Ingela Brimberg. Convincente come sempre l’orchestra del Regio, sotto la guida del piglio brioso e appassionato della bacchetta dello spagnolo Jordi Bernàcer.
Insomma un’edizione fresca, innovativa, in cui il coraggio e il gusto delle scelte artistiche non va a discapito della coerenza e del rispetto nei confronti dell’opera e della partitura, troppo spesso sacrificati sull’altare dell’originalità a tutti i costi. 

Franco Travaglio