giovedì 20 giugno 2019

SPRING AWAKENING e CHICAGO a Bologna

A Summer Musical Festival, la rassegna di musical organizzata a Bologna dalla Bernstein School of Musical Theater, diretta da Shawna Farrell è giunta alla settima edizione, consolidando l’eccellenza e l’importanza di una manifestazione del genere per gli appassionati e gli addetti ai lavori. Questa rassegna è da una parte una prestigiosa vetrina per i giovani allievi che hanno l’opportunità di mettere in mostra il loro talento e il frutto del percorso di studi intrapreso, dall'altra offre al team creativo degli spettacoli di sperimentare fuori da logiche di mercato. I primi due appuntamenti in programma lo scorso maggio sono andati in scena al Teatro Duse.


Il primo spettacolo proposto è stato SPRING AWAKENING. La vittoria di otto premi Tony, tra i quali miglior musical e migliore regia, è stata la definitiva consacrazione internazionale per questo spettacolo, folgorante adattamento del celebre "Risveglio di Primavera" di Franz Wedekind, che è diventato uno degli spettacoli cult di Broadway sull'onda di un travolgente successo di critica e di pubblico. Il motivo principale di questa irresistibile ventata di freschezza sui palcoscenici di New York di uno spettacolo davvero nuovo e ambizioso anche se imperfetto, è forse dovuto al fatto che gli autori (musica seducente e malinconica del cantautore pop Duncan Sheik, liriche e libretto di Steven Sater) non hanno trasferito la vicenda di Wedekind riguardo i piaceri e i pericoli delle tempeste ormonali della pubertà in una scuola media suburbana americana, come ci si potrebbe aspettare, ma l’hanno lasciata nel proprio contesto originale veicolandola però (e qui sta la genialità) di un linguaggio appropriato per riportare alla nostra quotidianità i tormenti degli adolescenti, ossia un indie-rock dal fortissimo impatto che esalta l'assoluta mancanza di convenzionalità e l'empatia con cui l'autore era riuscito ad identificarsi con gli aneliti e gli spasmi dei giovani di allora: i due giovani sacrificati sull'altare del decoro quali Moritz (un sicuro e tormentato Alessio AntelmiWandla (la delicata e bravissima Claudia Luzzi– il primo suicida per la vergogna di fantasie sessuali e brutti voti, la seconda vittima di un aborto fallito  insieme alla condanna al riformatorio di Melchior (l’ottimo e carismatico Michele Anastasi) suscitano oggi la stessa pietà e commozione, come l'amore omosessuale tra Hanschen ed Ernst (Paride Scocco e Pietro Galetta), e la violenza che Martha (una straziante e comunicativa Pamela Giannini) subisce dal proprio padre.
Nonostante l'Arte e l'integrità di gran parte del loro lavoro, il musical di Sheik e Sater cade in alcune tra le solite trappole che accompagnano i tentativi di tradurre un'opera d'arte da un contesto all'altro. Tende a semplificare le trame emozionali nel dramma. Tutti i ruoli per adulti sono interpretati da due attori, ad esempio, che indirizza il dramma troppo saldamente nella direzione di un racconto standard di conflitto generazionale tra autorità collettiva ed espressione individuale. L'esempio classico arriva quando Melchior viene trascinato davanti ai direttori della scuola per riferire informazioni sui fatti accaduti: qui canta una canzone ("Totally Fucked") forse un po' ruffiana, che diventa un grido di protesta radicale e applauditissimo. Nel dramma di Wedekind, i giovani sono impotenti di fronte alla barbarie degli adulti: qui hanno il potere della musica - il che è evidentemente buono in linea di principio per un musical, ma rischia di "uccidere" la tragedia.


Come in RENT, il musical racconta le speranze, i sogni, i tormenti di un gruppo di giovani destinati a soccombere di fronte alla vita, che tuttavia combattono sino in fondo per i propri ideali. E se RENT reinventava la Bohème nel Lower East Side di New York, SPRING AWAKENING colloca le vicende degli eroi di Wedekind in una metropoli senza una esatta definizione, ma con riferimenti sia all'epoca del dramma originale che ai nostri giorni, conquistando il pubblico giovanile che si identifica totalmente con quelle battaglie, quei sogni e quelle frustrazioni. 
La regia di Mauro Simone, appassionante ed ispirata, ne esalta le speranze e le contraddizioni: la vita, per dirla con il titolo della canzone più celebre, è sempre «stronza», ma guai a non viverla sino in fondo.  Mauro Simone ci ha abituato a regie che partano da un concetto visivo ben preciso e in questo caso troviamo (le scene sono di Gabriele Moreschi sapientemente illuminate da Emanuele Agliati) una parete di finestre di diverse forme, stili e dimensioni e con una porta: per lui, ieri come ancora oggi, Melchior, Wendla, Moritz, Hanschen, Ernst e Martha nel momento in cui scoprono la propria sessualità e si lasciano travolgere dal desiderio temono il giudizio di chi li sorveglia da fuori le finestre («chissà cosa penseranno di me») ma allo stesso tempo, i loro gesti hanno la purezza di chi non rinuncia a sognare e di affacciarsi e guardare oltre quelle finestre. 
Questo SPRING AWAKENING racconta tutto ciò intrecciando eros e thanatos, speranza e delusione, solidarietà e tradimento grazie anche alla accurata direzione musicale di Vincenzo Li Causi (la parte corale degli spettacoli della BSMT sono come al solito una garanzia) e alle belle e suggestive coreografie di Giorgio Camandona (davvero una piacevole scoperta), movimenti mai banali ma di supporto all'azione scenica, grazie anche all'aiuto di una serie di sedie, con dei fari LED attaccati sotto la seduta, spostati e agitati dai giovani attori a suggerire a volte un senso di ordine/costrizione e altre una voglia di emanciparsi da un’educazione/istituzione bigotta e repressiva per far emergere il pensiero interiore dei ragazzi.
Impressa nella memoria rimane la felice sensazione di aver assistito a qualcosa di insolito e di ambizioso, qualcosa di vitale, nuovo e – soprattutto – terribilmente vero. E l’energia che nasce dalla Verità è sempre quella più genuina, ed il pubblico del Duse risponde con entusiasmo alla celebrazione commossa dell'eterna fragilità della condizione umana.


Il secondo appuntamento è con CHICAGO. La rilettura del regista Saverio Marconi, che confeziona il tutto con mano sicura ed esperta, attinge al celeberrimo film di Rob Marshall – dove ogni numero musicale è la proiezione fantastica della storia "reale" – e allo spettacolo teatrale di Broadway di 23 anni fa, tanto essenziale quanto icona di eleganza e raffinatezza, per trovare una sua via in un nostalgico viaggio nel genere vaudeville, tra danza, musica e recitazione, con una orchestra dal vivo brillantemente diretta da Maria Galantino, che fa rivivere la variegata musica che va da pezzi di potentissimo jazz all’aria d’opera, passando per il rag.
Questo "giocare al vaudeville" ci ricorda quanto CHICAGO sia espressione della gioia di sedurre un pubblico che va a teatro, soprattutto, per essere sedotto; per esaltare tutto ciò ogni numero (e la maggior parte di loro sono ostentatori) è spiritosamente introdotto da un manifesto mobile portato da un "Presentatore", e pare brillare di una dichiarazione implicita e irresistibilmente arrogante del tipo: «Guardami. Quello che sto per fare sarà fantastico, e tu amerai ogni secondo di esso» perché, come scriveva il critico del New York Times: «The America portrayed onstage may be a vision of hell, but the way it's being presented flies us right into musical heaven».


Sinceri applausi a tutti i meravigliosi interpreti di questa storia di «omicidio, avidità, corruzione, violenza, sfruttamento, adulterio e tradimento», mi preme ricordare Tiziana Salerno, perfetta voce da soprano che si ritaglia un bel momento di teatro con la sua sciocca giornalista che crede alla bontà delle persone; Federica Rini presta la sua magnifica voce alla matrona carceriera Mama Morton sempre in cerca di prede; Matteo Francia, che balla e canta benissimo, – ferma lo spettacolo con la sua voce da crooner vellutato – sopperisce alla mancanza di un fascino maturo, vista la giovane età, conferendo al suo cinico avvocato mascalzonaggine con straordinaria simpatia; lodi a Pierluigi Cocciolito che stravince nel suo triste Mr. Cellophane (semplicemente geniale la trovata di Marconi!), autoritratto dell'ignorato e tradito marito dell'assassina principale: Roxie Hart. Roxy è Elisa Gobbi, piccola, bionda, nervosa: un cartone animato sexy dai tempi comici perfetti e irresistibili; Alice Luterotti è Velma, alta, bruna, aggressiva, una fascinosa amazzone. Giovanissime e superbamente preparate entrambe, ballerine acrobatiche, cantanti ricche di verve, attrici piene di umorismo, sensuali ciascuna a suo modo, insieme formano una coppia superlativa; non capita spesso di vedere due così, oltretutto in gara continua per superarsi a vicenda in una vincente alchimia.
Graditissima rivelazione della serata il giovanissimo Tommaso Perazzoli, il Vaudeville Dancer, semplicemente pazzesco: fa venire subito giù il teatro durante l’overture che introduce "All That Jazz" con un assolo di tap memorabile! E qui occorre ricordare l’ingegno di Gillian Bruce, oggi davvero la numero uno in Italia per l’estro creativo che mette nei suoi lavori: in questa occasione ci mostra davvero un manuale di danza che seppur omaggiando Bob Fosse, il cui fantasma aleggia sempre in uno spettacolo del genere, ha saputo reinventare molti numeri in maniera davvero sensazionale, tra citazioni e contaminazioni! Come al solito la marcia in più degli spettacoli della BSMT sono i cori sotto la rigorosa direzione musicale di Shawna Farrell. Nota di merito alle scene di Gabriele Moreschi sapientemente animate dall'ormai esperta e sofisticata illuminazione, stavolta sospesa tra il varietà e uno stile "noir", di Emanuele Agliati.
Come molti sanno, il primo allestimento di  CHICAGO è contemporaneo di A CHORUS LINE (1975), spettacolo che ha lanciato in Italia la Compagnia della Rancia, e nel finalissimo di questo CHICAGO Saverio Marconi lo omaggia citandolo spiritosamente (Roxy e Velma simbolicamente unite come due vedette ai ballerini di fila di A CHORUS LINE). Ultima considerazione: Marconi è sempre a suo agio con i musical di Kander and Ebb… spigolosi, scomodi, erotici, cinici, divertenti e, diciamolo, pure glamour. Con il suo cupo e violento CABARET del 2015 Marconi ci ricordava quanto la parola più bella (willkommen, bienvenue, welcome) sia di questi tempi la più dimenticata; oggi con questo CHICAGO, dove tutto il mondo è una truffa e lo show-business è la più grande truffa di tutti («fintantoché li disorienti, non fanno caso a quanto menti», dice una battuta del brano "Razzle Dazzle"), ci mostra con humour come questo show sia stato così preveggente sulla giustizia spettacolo e il ruolo dei media e – ahimè – ancora tristemente attuale.

Alessandro Caria