venerdì 28 ottobre 2016

BOHÈME, AMORE A PRIMA VISTA

Innamorarsi perdutamente di un’opera, come se fosse la prima volta, quasi fosse alla prima assoluta. E invece parliamo della pucciniana Bohème, vista al Regio di Torino il 20 ottobre 2016 in occasione del centoventesimo anniversario dal debutto, avvenuto proprio nella culla lirica della capitale sabauda l’1 febbraio 1896.

Merito in primo luogo della coraggiosa regia di Àlex Ollé, direttamente dal gruppo teatrale di rottura La Fura dels Baus, che riesce nell’intento di scrostare dal capolavoro la patina di vecchiume e di sacrale filologia che uno spettacolo così a lungo replicato, rivisto, reintepretato ha accumulato negli anni. Io stesso ne avevo viste svariate edizioni: nel 1984 con Fiamma Izzo (la mia prima volta all’opera e al Regio), nel 1996 l’edizione Pavarotti/Freni del centenario, nel 2010 con Barbara Frittoli, e nel 2015 il revival zeffirelliano alla Scala.
La freschezza di questa produzione è garantita non tanto dalla scelta (sicuramente non inedita) di ambientare nella periferia di una contemporanea metropoli le giovani pene d’amore, gioiosa miseria d’artista e povertà esistenziale di Mimì, Rodolfo, Musetta e Marcello, quanto dall’andamento quasi cinematografico, realistico e attuale del ritmo registico, che non si scolla mai dalla partitura, al netto di un paio di incongruenze che non intaccano la riuscita dell’insieme.
Se nella composizione di un’opera è già scritto l’aspetto visivo della vicenda scenica tanto più abbiamo apprezzato la capacità di Ollé di farci entrare nei microcosmi degli appartamentini dei protagonisti, che continuano a vivere anche mentre l’azione si svolge altrove. La scenografia di Alfons Flores, coadiuvata dalle bellissime luci di Urs Schönebaum, è infatti composta da una serie di scarne strutture mobili che ci mostrano, con effetto “finestra sul cortile” gli interni di altrettante stanze e locali.

La messa in scena vince quindi la sfida di farci entrare in sintonia con i personaggi e le loro emozioni, le loro sofferenze, i loro amori (rendere credibile l’innamoramento di Mimì e Rodolfo, che sboccia in poche battute musicali, è davvero una sfida per qualsiasi regista), con un sapiente uso del “primo piano” persino nell’emorme palco del Regio, alternato alla grandiosità delle scene di insieme. Peculiare il CAFFÈ MOMUS, trasformato in un lounge-bar radical-chic in cui capiamo sin dall’inizio che i poveri studenti sono incautamente incappati: chi di voi non si è mai trovato di fronte a un conto salatissimo lontano dalle proprie tasche, per non far brutta figura con gli amici?

E’ vincente tutto il team artistico: i costumi di Lluc Castells trasformano Rodolfo (il bravissimo tenore peruviano Iván Ayón Rivas), in un drammaturgo nerd che cerca ispirazione sul suo pc portatile, e Mimì (l’applauditissima Erika Grimaldi) in una giovane colpita dalla tisi dei giorni nostri, il tumore. Marcello (il versatile Simone del Savio) è invece un graffittaro squatter innamorato della ragazza di mondo Musetta (la talentuosa Francesca Sassu), che smessi i panni della volubile vamp mostra tutta la sua umanità aiutando Mimì, mentre Schaunard (Benjamin Cho) è un chitarrista burlone dalla risata contagiosa e la cresta da ventenne di oggi.



Impossibile per gli appassionati di musical non pensare alla rock-opera RENT, riscrittura della Bohème nella New York alla fine del ventesimo secolo, e questa edizione è un po’ un RENT riportato alla musica originale, tanto che ti aspetteresti di sentire i protagonisti, tutti giovani e credibili, cantare un rock indiavolato o un rap grintoso, invece quando aprono bocca per fortuna escono le magiche note pucciniane, che nella spigliata e attenta direzione di Gianandrea Noseda, sortiscono un intrigante effetto spiazzante che fa da detonatore all’eterna modernità dell’opera. Un’amore a prima vista.

Franco Travaglio


Foto del primo cast. Ramella&Giannese - Edoardo Piva

martedì 25 ottobre 2016

SCHIKANEDER: riflessioni sul libretto.

a cura di Anna Hurkmans

Indubbiamente si esce dal musical “ Schikaneder” inebriati di suoni, colori e forme di grande bellezza estetica. Un vero tripudio di belle voci, attori convincenti, costumi assolutamente meravigliosi (me ne intendo, sto facendo  costumi settecenteschi per il nostro “Casanova”) scenografie di grande impatto, una regia che attira  l’attenzione in ogni momento, con una mano molto felice nelle scene di gruppo. Dunque uno spettacolo riuscito perfettamente da tutti i punti di vista? 
Qui ci vuole una riflessione e non posso negare che questa riflessione sono riuscita a farla solo dopo un po’ di tempo. La prima impressione è effettivamente quella della perfezione. Mi sono solo resa conto che mancava qualcosa, c’è qualcosa che non lasciava del tutto soddisfatti. E quel qualcosa non l’avevo nominato nell’elenco degli aspetti riusciti del musical qui sopra. E’ il libretto.
Ripensando alla storia vista e rileggendo il programma mi sono imbattuta in una illogicità: lo spettacolo si chiama “Schikaneder, ma il personaggio principale sembra lei, la moglie Eleonore. Non solo perché il suo ruolo offre molte più sfumature e sviluppi di carattere, mentre quello del marito risulta unidimensionale (cosa ancora maggiormente sottolineata dalla recitazione stereotipata  di Seibert, peraltro bravo come cantante (in certi momenti sembrava avere a che fare con il Gastone della “Bella e la Bestia” con quelle sue braccia che si muovevano come le pale di un mulino). Eleonora è infatti la protagonista del prologo, in cui dice espressamente di voler raccontare la sua storia col marito dal suo punto di vista. Dunque è lei che guida il racconto, di lei si sa tutto dalle sue origini in poi. Il marito entra solo di seguito.
Ma c’è di più. Qui in Italia il nome Schikaneder è noto solo a qualche musicista. (Ho fatto la prova, pochi risultati anche lì!) mentre a Vienna è indubbiamente (un po’?) più noto. Ma anche in quel caso lo si conosce solamente come il librettista del Flauto magico di Mozart. 
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Hanno dunque fatto bene a chiudere il musical con una bellissima scena in cui si assiste alla prima di quest’opera dal backstage.
Mozart non viene mai nominato nel musical, c’è solo qualche accenno a “quel compositore ubriacone”. Vabbene, accettiamolo, il fatto di  trattare Mozart sempre come il ragazzaccio di “Amadeus”. Non volerlo portare in scena è una scelta accettabile. Ma quello che non si capisce durante tutto il secondo atto del musical è da dove viene improvvisamente fuori questo libretto, per niente affatto sempliciotto? Un testo in cui si mescola l’esoterismo orientale con l’ideale massonico, la speranza nel progresso tipico dell’Illuminismo con conoscenze dell’antico Egitto. Non si vede mai Schikaneder con una penna in mano né con un libro. Dovrebbe aver avuto almeno una certa cultura, che dal personaggio non appare mai. Dovrebbe essersi almeno occupato per un po’ di tempo con la scrittura di questo libretto, oltre a correre dietro alle gonne (e che gonne!) delle attrici. Avrà ogni tanto mandato una parte del libretto al compositore e discusso con lui? Avrà anche riscritto qualche scena non del tutto riuscita? Avrà avuto i suoi dubbi e i suoi problemi? E non gli è mai venuto in mente di discuterne con gli  amici cantanti e attori?  Mi è poi difficile credere che dobbiamo la creazione del geniale  personaggio di Papageno solo al fatto che in soffitta lui aveva ritrovato un curioso costume verde piumato, come viene affermato qui. E che l’ambientazione nell’antico Egitto era causata dal ritrovamento di una vecchia scenografia da riutilizzare.
Qui invece niente, sembra che questo meraviglioso libretto sia improvvisamente caduto dal cielo. Non sembra sia costato nessuna fatica e nessun impegno a Schikaneder.
Bene, il mio parare è dunque che il libretto, almeno nel secondo atto, sia debole. Come spesso succede nei musical sarebbe augurabile una riscrittura di alcune parti, con un approfondimento del personaggio di Schikaneder: non solo capocomico audace e Dongiovanni ma anche intellettuale dal gusto originale e raffinato. (Tra l’altro quella con Mozart era un’amicizia di lunga data, dunque avranno discusso spesso del lavoro insieme.) Il secondo atto necessiterebbe anche di qualche  taglio, anche di musiche troppo ripetitive. Allora potrebbe meritarsi il grande successo.

lunedì 24 ottobre 2016

Sogna in grande !


schikaneder_milica-jovanovic-eleonore-schikaneder_vbw_deen-van-meerWien – Raimund Theater. La recita di “Schikaneder”, la travolgente storia d’amore di Emmanuel e Eleonore, va in scena in una fresca domenica di ottobre. Lo spettacolo tanto atteso è un autentico turbinio di emozioni. Nato da un’idea del sovrintendente Christian Struppeck, curatore del libretto, lo spettacolo racconta la vita di Johann Schikaneder attraverso gli occhi della moglie Eleonore. I lettori italiani probabilmente riconosceranno Schikaneder come librettista de “Il flauto magico” di Mozart: in realtà egli è stato uno dei padri della drammaturgia teatrale austriaca. Ha infatti gestito per dieci anni insieme alla moglie il Theater auf den Wieden.

Le musiche dello spettacolo, scritte da Stephen Schwarz, sono perfettamente nello stile dell’epoca di Schikaneder. Durante la conferenza stampa lo stesso autore ha comunicato che l’organico orchestrale è lo stesso de “Il flauto magico”. Tutto il primo atto vede un susseguirsi di recitativi e di numeri musicali che lasciano l’ascoltatore letteralmente attaccato alla poltrona. I numeri musicali “Träum Groß” e “Liebe Siegt” sono le vere fondamenta di uno spettacolo attualissimo e per nulla vecchio. La costruzione dello spettacolo è avvenuta in varie fasi, le quali hanno visto numerosi aggiustamenti. Basti pensare che il titolo originario era “Emmanuel & Eleonore”! I vari cambiamenti hanno contribuito a migliorare e a rendere più efficace il musical. Grazie alla regia del grande Sir Trevor Nunn il pubblico non si annoia mai. Il palcoscenico funziona alla perfezione, i costumi curati da Anthony Ward  sono semplici, di grande effetto e molto dettagliati. L’occhio dell’ascoltatore rimane soddisfatto.

Il cast dello spettacolo è un miscuglio di vari “generi vocali” tutti perfettamente incastrati in una storia d’altri tempi perfettamente attuale. Milica Jovanovic, giovane protagonista della spettacolo, nel ruolo di Eleonore sfoggia sicurezza oltre a una pregevole maestria nell’utilizzo del proprio impianto vocale e capacità attoriali degne di nota.



Schikaneder

Ricardo Frenzel Baudisch (il ruolo da protagonista è affidato a Mark Seibert) è uno Schikaneder divertente, a volte un po’ goffo ma pienamente nella parte. Superlativa Katie Hall nel ruolo di Maria Anna Miller, una soprano leggero che dimostra un’invidiabile padronanza della voce.  Il timido e amorevole Johan Friedel è interpretato da Florian Peters, recente cover di Mozart in piena crescita: sicuramente sentiremo molto presto parlare di lui. L’orchestra dei Teatri Riuniti Viennesi è in grado di trovare una leggerezza e una coloratura di piena epoca mozartiana, è bello notare come un’orchestra abituata a lavorare con linguaggi moderni riesca a ottenere un così buon risultato.

Koen Schoots, presente sia come staff creativo (suoi sono gli arrangiamenti vocali) sia come direttore musicale, è sempre più una punta di diamante di un teatro moderno e sempre sul domani. Si consiglia vivamente la visione. Si replica fino a marzo 2017.

Matteo Firmi - Cecilia Zoratti

sabato 15 ottobre 2016

Quattro chiacchiere con Drew Sarich

Vienna, 1 ottobre 2016
Insieme al compositore Raffaele Paglione ho avuto l’onore e il piacere di fare alcune registrazioni di brani del nostro musical VINCENT con Drew Sarich e sua moglie Ann Mandrella a Vienna.
La sera prima avevamo avuto occasione di ammirare la sua bravura come uno scatenato Che in Evita con la nuova protagonista Marjan Shaki. In una pausa di registrazione non mi sono naturalmente fatta sfuggire l’occasione di parlare con Drew del suo mestiere e della situazione del musical in Austria e anche in America, dato che è americano di nascita.

da sinistra: Raffaele Paglione, Anna Hurkmans, Drew Sarich e Ann Mandrella

Il nostro colloquio si è svolto in tedesco e la prima cosa che ho fatto è stato complimentarmi con lui per la perfetta pronuncia di questa lingua, fatto raro per americani (pensavo al pesante accento di Friedman o Lutwak). E’ infatti nato a S.Louis e si è diplomato al Conservatorio di Boston. La sua risposta era che effettivamente ha dovuto lavorarci molto e che in questo caso è stato di grande aiuto sua moglie Ann, che pur essendo nata in Francia ha comunque un padre tedesco.
La spiegazione che mi ha data di questo suo impegno dimostra la sua grande professionalità: “Quando la sera mi esibisco di fronte a persone che hanno pagato un biglietto, talvolta anche molto costoso (pensate che di sabato e domenica i biglietti più economici per uno spettacolo come Schikaneder costano 61.00 euro!) ho il dovere di farmi capire da tutti in un tedesco perfetto.
I primi passi nel mondo del musical li ha messi in teatri off Broadway e poi in altre città americane dove il suo ruolo più importante fu Judas nel Jesus Christ. Nel 1999 è arrivato a Berlino dove ha recitato in ben 580 rappresentazioni di Quasimodo nel Hunchback of Notre Dame della Disney. Sono seguiti Jekyll and Hyde, Dracula e di nuovo Jesus Christ, sia nel ruolo di Judas che di Jesus.
Nel 2006 ha debuttato a Broadway con il musical molto atteso Lestat, una storia di vampiri. Aveva un contratto di un anno e perciò aveva fatto venire sua moglie e i suoi due gemelli Amélie e Noah, nati da poco. Purtroppo il musical fu un terribile flop e malgrado il contratto i poveri interpreti vennero licenziati senza pietà. Furono tempi molto difficili, mi racconta Drew. Perciò è contento che in Germania e Austria cose del genere non succedono: quando un musical per mancanza di pubblico viene tolto dal cartellone, gli interpreti vengono pagati per tutto il periodo del loro contratto. Questo è accaduto per esempio con il musical Rudolf, sul figlio di Sissi suicida a Mayerling, che voleva bissare il successo di Elisabeth, ma che è rimasto in scena solo tre mesi. Eppure era di un autore famoso, Frank Wildhorn, e con un cast notevole.
Ho chiesto a Drew quale poteva essere la causa dell’insuccesso e lui ha visto pecche soprattutto nel modo in cui era raccontata la storia: troppo romantica e dolciastra, dove invece era in realtà una storia cruda e molto più interessante. D’altronde neanche Elisabeth è tra i musical favoriti di Drew. Mi ha spiegato perché non è riuscito mai a conquistare Londra o New York. Non è solo per la poca conoscenza di quel personaggio storico (per gli Inglesi “Elisabeth” è la loro Elisabetta I) ma soprattutto perché questo musical è troppo platealmente copiato da Evita, secondo lui: questo comincia col personaggio di Lucheni, disegnato su quello del Che. Un brano come Kitsch è molto simile a Oh, What a circus e Ich gehör nur mir assomiglia stilisticamente a Don’t cry for me Argentina. Lo stesso Kunze aveva dichiarato che si era ispirato ad Evita e secondo Drew il pubblico di lingua inglese l’avrebbe subito percepito.
Dato che eravamo in argomento gli ho chiesto come mai l’altro grande successo di Kunze, Rebecca non era mai arrivato a Broadway, malgrado vari annunci di contratti. Qui mi ha invece raccontato tutta un’altra storia: il sedicente produttore, con cui erano in corso lunghe e faticose trattative, risultava alla fine non esistente!
In ogni caso Drew era contento di essere tornato in Europa, dove la sua carriera procede brillantemente, sia a Londra (Jean Valjean nei Miserables), Germania (Hedwig, Tanz der Vampire, Rocky) e Austria (Jesus Christ, Rudolf, Tanz, Sister Act, Love never dies, Evita).
Per Rocky, il musical basato sul film omonimo, Drew si è preparato intensivamente non solo nel canto e nella recitazione, ma ha preso anche vere lezioni di box: in scena un attore non ha certamente una controfigura come succede spesso nel cinema!
Rocky è andato bene, ha tenuto per 3 anni ad Amburgo, ma per la famiglia di Drew che viveva a Vienna significava un grosso sacrificio, potendosi vedere raramente. Perciò Drew e Ann erano molto felici di accettare nell’estate passata i due principali ruoli in Jekyll & Hyde nel festival estivo di Zwingenberg: non avevano mai recitato insieme in un musical (lei è attualmente la protagonista nel musical Ich war noch niemals in New York). E ci hanno preso gusto: quando hanno proposto loro di fare insieme il musical da camera The last five years, anche se per sole 5 rappresentazioni a dicembre a Vienna, hanno subito accettato con gioia.
Quanto ai suoi musicals preferiti, quelli che considera i massimi capolavori del genere, Drew non ha dubbi: si tratta della triade West Side Story, Jesus Christ Superstar e Les Miserables.
Certo, ci vuole moltissima capacità organizzativa per tenere insieme una famiglia con due bambini che hanno adesso 12 anni. I nonni vivono lontano. Così Ann accetta solo ruoli fuori Vienna quando Drew è a casa e viceversa.
Intanto la piccola Amelie sembra seguire le orme dei genitori: ha lezioni di canto e di violino e canta e recita in alcune rappresentazioni di Evita. Suo fratello ha anche idee chiare sul proprio futuro: vorrebbe lavorare nel cinema, ma dietro lo schermo. Forse nel montaggio.
In questa vita piuttosto movimentata Drew e Ann hanno un desiderio: rimanere persone normali. Mi è sembrato che ci riescano perfettamente! E il desiderio di Raffaele e me è di vederli una volta insieme sulla scena come Vincent e Sien, la sua amante. Sarebbero perfetti anche lì.

di Anna Hurkmans

domenica 9 ottobre 2016

Stefania Seculin, Da Trieste a....

Melide (Svizzera) – In occasione della produzione svizzera di “Titanic” sul lago di Lugano abbiamo intervistato Stefania Seculin, che nel musical interpreta la protagonista Kate McGowan. Con lei abbiamo parlato di questa nuova produzione italo-tedesca, della sua carriera e del suo rapporto con il musical e con l’operetta.



Da Trieste a Lugano. Finora la tua strada ti ha portato dappertutto. Qual è la tua esperienza più interessante?
Questa! (ride, ndr) Prima di tutto bisogna definire il concetto di “interessante” perché questa la è sotto ogni punto di vista. Recito in un musical in tedesco su un lago: è quello che ho sempre sognato di fare! Credo davvero che si tratti di uno dei sogni realizzati nella mia vita. Adoro questo musical: le musiche sono pazzesche, la storia è meravigliosa, la location è incantevole… e il cast bilingue rende il lavoro ancora più entusiasmante. Non tanto il dover recitare in tedesco quanto l’alternanza delle due lingue. Ne consegue quindi un doppio lavoro perché lo spettacolo non è sempre uguale, ci sono le sfumature che rendono diverse le rappresentazioni. Anche a livello vocale c’è una grande differenza: i brani con vocali non sono come quelli con più consonanti! Nella mia carriera ho avuto anche tante altre esperienze, in particolare al teatro Rossetti di Trieste, da cui sono partita, con i vari “Musical StarTS” e “Christmas StarTS” che resteranno sempre nel cuore di tutti i triestini. In un ambiente così professionale noi ci siamo sentiti a casa, ed è molto bello proprio perché non capita tutti i giorni! Tutti noi speriamo di poterli replicare invece di dover percorrere chilometri e chilometri per partecipare a concerti in altre città. Potrebbe diventare una sorta di appuntamento annuale con il musical!
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Tra una produzione italiana e una tedesca spesso si possono trovare molte differenze. In quale ti senti più a tuo agio?
È cosa nota che io abbia uno spirito asburgico, quindi la risposta è abbastanza ovvia (ride, ndr). Mi trovo bene in una produzione tedesca per molte ragioni: atteggiamenti, ritmi, modo di fare, puntualità, precisione, il lavoro che c’è dietro … tutti fattori che rispetto all’Italia cambiano tanto. Con questo non intendo dire che in Italia sono introvabili, ma la precisione dei tedeschi è qualcosa di unico.

E a livello di traduzione ti trovi meglio in italiano o in tedesco?
Da sempre ho la passione per la lingua tedesca. “Titanic” nasce in inglese ma io per mesi ho ascoltato la versione tedesca. La traduzione italiana a primo impatto non mi è dispiaciuta. Poi con il tempo provando anche a canticchiarla ho pensato che non è male rispetto a tante altre traduzioni che sono state fatte in italiano. Mi sono abituata poi sentendola in scena: è morbida, mi piace. In italiano è più difficile tradurre rispetto al tedesco, essendo quest’ultimo molto più concreto: per esprimere un concetto basta una singola parola. I momenti romantici in italiano sono indubbiamente più dolci, il tedesco ti trasmette più grinta, ci sono sfumature diverse in ogni scena, ed è proprio questo che rende diverso uno spettacolo dall’altro. Personalmente non vivo il “Titanic” come un giorno in italiano e un giorno in tedesco, per me sono due spettacoli diversi. All’interno dello spettacolo ho una parte molto importante, ed è interessante vedere come il mio personaggio si evolve in modo diverso a seconda della lingua. La vera sfida è stata adattare la traduzione alla musica perché lo spettacolo è tanto cantato, non ci sono solamente due canzoni e il resto è recitato. La versione che voi sentirete in scena è stata modificata nel corso delle prove: abbiamo modificato il testo talvolta con rime più efficaci, concetti più diretti, parole diverse. Con la traduzione italiana secondo me è stata fatta un’operazione molto valida.


Trieste è la città del musical e dell’operetta. Quale forma di spettacolo preferisci?
Chiaramente il musical perché io artisticamente provengo da lì. In questi ultimi anni il musical si sta evolvendo mentre l’operetta è rimasta ferma alla tradizione. Questo non significa che non si debba conoscere perché le tradizioni sono sempre molto importanti. Entrambe le forme di spettacolo vanno mantenute e non si può andare avanti solo con una. Non possiamo tralasciare l’operetta in quanto parte della tradizione triestina, ma non possiamo nemmeno tralasciare il musical perché bisogna far entrare sempre di più in contatto il pubblico con questa nuova forma di spettacolo che in Italia è ancora poco conosciuta.


Melide 18 Agosto 2016  M.Firmi - C.Zoratti

giovedì 6 ottobre 2016

La regina del musical Tedesco

a cura di Matteo Firmi
Traduzione e consulenza linguistica a cura di Cecilia Zoratti

In Italia è stata la prima performer ad interpretare Elisabeth. Maya Hakvoort, 49 anni, voce perfetta e presenza scenica ammaliante. La troviamo a San Gallo nel ruolo di "La vecchia signora Gina" e, dopo anni dal suo debutto, la troviamo ancora in spledida forma. Abbiamo approfittato della sua presenza in Don Camillo & Peppone per una bella chiacchierata.
  1. Spesso tra attore e musical è amore a prima vista. Quando e come è avvenuto il primo incontro con il mondo del musical?
All’età di 7 anni ho visto per la prima volta Jesus Christ Superstar. Al termine dello spettacolo avevo perfettamente chiaro in mente che cosa volessi diventare: volevo cantare, ballare e recitare. In poche parole: volevo diventare una musical performer!
  1. Quali particolarità dovrebbe avere un musical per riuscire a conquistare il pubblico?
Per toccare il cuore del pubblico, un musical necessita di diverse componenti: la trama deve essere interessante, la musica diretta e coinvolgente. E’ inoltre fondamentale un’atmosfera piacevole all’interno del gruppo di lavoro: ci deve essere una grande sintonia all’interno del cast e tra gli attori e il direttore d’orchestra. Ma un musical non può esistere senza un librettista e un compositore!
  1. E’ vero che i ruoli interpretati influiscono sulla personalità dell’attore?
Certamente! Ognuno di noi entra in contatto con un personaggio diverso da se stesso, e chiaramente ciascuno si approccia al ruolo da interpretare in base al proprio carattere e alla propria personalità. Per noi è sempre un grande arricchimento anche a livello personale.
  1. L’imperatrice Elisabeth è stata molto importante per la Sua carriera. Che relazione ha con questo ruolo?
Dal punto di vista caratteriale la comprendo molto bene. Se fosse nata e vissuta in quest’epoca, probabilmente la sua vita non sarebbe stata così complicata e tormentata.
  1. Ogni performer ha un ruolo preferito: qual è il Suo? E c’è un ruolo che sogna di interpretare?
Non saprei dire quale sia il mio ruolo preferito! Indubbiamente Elisabeth mi ha influenzata molto. Mi piacerebbe continuare a interpretare Diana in Next to Normal e interpretare di nuovo Norma Desmond in Sunset Boulevard. Tra i ruoli ‘nuovi’ mi piacerebbe interpretare la madre in Das Wunder von Bern (Il miracolo di Berna) o Mrs Johnston in Blood Brothers. Mi piacerebbe anche recitare in nuove produzioni.
  1. Nel corso di una produzione, per più sere di fila deve interpretare lo stesso ruolo. E’ emozionante ogni volta o con il tempo si trasforma in una sorta di routine?
Nel nostro lavoro non si dovrebbe mai parlare di routine: se così fosse significa che si sta sbagliando qualcosa, e questo viene percepito anche dal pubblico. Dal 2005 il mio calendario cambia ogni sera intervallando musical con spettacoli prodotti da me. Adesso interpreto Diana in Next to Normal a Dortmund alternato alla vecchia Gina di Don Camillo & Peppone a San Gallo. Nel frattempo proseguo con il mio spettacolo 4 Voices of Musical.
  1. Attualmente fa parte del cast di “Don Camillo & Peppone”: come è entrata nel ruolo della vecchia Gina? Si sta divertendo a interpretare questo personaggio? Cosa ci può raccontare di questo nuovo musical?
E’ particolarmente interessante vivere in quel piccolo mondo in cui si svolge tutta la vicenda. Mi piace osservare il mondo con gli occhi della vecchia Gina. Spero di avere la sua stessa visione della vita anche quando starò per morire! Cosa vi posso dire? Abbiamo un cast fantastico, un coreografo molto preparato e un direttore d’orchestra formidabile!
  1. Che rapporto ha con i tanti fans che la seguono sui social? Come ha avuto l’idea di Maya Quakvoort?
Quando il tempo me lo consente, cerco sempre di ringraziare tutti coloro che mi seguono così fedelmente. Alcuni dei miei fans arrivano appositamente dal Giappone! L’idea di Maya Quakvoort mi è venuta quando ho visto la paperella in un negozio. Adesso l’ho un pochino trascurata, ma presto torneremo a viaggiare insieme!
Dopo questa chiacchierata aspettiamo con ansia il 17 ottobre quando, in occasione del suo compleanno, proporrà Maya Hakvoort 50 al Raimund Theater di Vienna.

Articolo apparso sul ultimo numero de Amici del Musical webzine