mercoledì 23 novembre 2016

Sempre travolgente "Sister Act il musical"

Finalmente in scena a Milano, Teatro degli Arcimboldi, Sister Act il musical! L’adattamento italiano è quello firmato da Franco Travaglio (che ha tradotto anche le liriche della canzoni) per la precedente edizione italiana in scena a Milano (2011).
Saverio Marconi firma una regia travolgente e spensierata, che nulla fa rimpiangere rispetto all’edizione precedente.

La storia è nota, ma nella versione teatrale si svolge a Philadelphia: Deloris Van Cartier è una cantante di night che assiste involontariamente a un omicidio; dovrà fare da testimone al processo contro il criminale di cui è stata amante, perciò la polizia la nasconde in un posto dove nessuno si sognerebbe mai di cercarla, il convento Regina degli Angeli. Assumendo la direzione del coro - con il nome di suor Maria Claretta - Deloris riporterà alla vita un luogo ormai destinato alla chiusura e trasmetterà alle consorelle nuova energia, ritrovando lei stessa, probabilmente, l’ispirazione per continuare il proprio cammino di vita.

Nei panni di Deloris, c’è ancora la calda voce, in stile gospel, di Belia Martin, già cover del ruolo protagonista della versione spagnola dello spettacolo, prodotta da Stage Entertainment. L’energia che la sua voce sprigiona e la notevole predisposizione a coinvolgere i colleghi sul palco e in pubblico in sala le hanno permesso di affinare ancora meglio, in questi mesi, la sua interpretazione. 
Jacqueline Ferry (Madre Superiora)
A temporanea sostituzione – per motivi di salute – di Francesca Taverni, è stata chiamata a interpretare il ruolo della Madre Superiora (per le repliche di Milano e Parma) Jacqueline Ferry; sicura e “appassionata” nel canto, si impegna in una recitazione austera, ma con una certa “misura”, quasi a non volersi prendere troppo sul serio in questo ruolo, e forse è proprio questo l’aspetto che fornisce una interessante chiave di lettura del personaggio.
Felice Casciano torna a vestire i panni di Curtis Jackson, ruolo che aveva già interpretato un precedenza a Milano, nell’edizione targata Stage Entertainment Italia: la padronanza del proprio personaggio, consente al performer di essere gradevolmente disinvolto in scena, tanto da raccogliere gli applausi più spontanei del pubblico.
Molto applauditi anche i tre scagnozzi di Curtis (Silvano Torrieri, Vincenzo Leone e Tiziano Caputo; quest’ultimo si attesta su un’interpretazione forse eccessivamente stralunata e “bambinesca” del personaggio di T.J. al punto che perfino l’uso del dialetto non fa brillare al meglio il suo personaggio, n.d.r.), improbabili seduttori in stile Bee Gees, nel brano Signora in nero.
Marco Trespioli è il timido agente Eddie “Umidino” Souther, performer dalle indiscutibili abilità canore, che anche quest’anno punta molto su un timbro estremamente modulabile tra sonorità profonde e vellutate alla Barry White e slanci tenorili.
E poi ci sono le sorelle: la simpatica e trascinante Maria Patrizia (Manuela Tasciotti), la severa, quanto ironica, “suora rap”, Maria Lazzara (Claudia Campolongo). 

Del cast fa parte anche Pino Strabioli, volto televisivo, che qui si presta a ricoprire il ruolo di Monsignor O’Hara, per il quale ha saputo costruire una adeguata caratterizzazione.
Special guest nel ruolo della novizia, Maria Roberta, Suor Cristina, che dopo l’esperienza televisiva di The Voice, continua a cimentarsi con il teatro: straordinaria nel canto, “dimesse” e meno sicure risultano, invece, la sua padronanza della scena e la recitazione.  



Nel complesso, le coreografie Rita Pivano risultano dinamiche e strizzano parecchio l’occhio alle atmosfere in stile Broadway.
Le scenografie di Gabriele Moreschi richiamano un “trionfo” di bifore, trifore e rosoni, elementi assai gradevoli alla vista, così come i dinamici e sfavillanti costumi, tra paillettes e e sobrietà, di Carla Accoramboni.

Fino al 27 novembre a Milano e poi in tour nei principali teatri italiani. 

sabato 19 novembre 2016

Presentato Don Camillo e Peppone il musical !






Wien - Ieri mattina è stato presentato alla stampa lo spettacolo Don camillo e Peppone. Lo spettacolo che avevamo già seguito a inizio anno a St Gallen ( Swiss ) ,  vedrà la premiere il 27 gennaio al Ronacher Theater . Lo spettacolo scritto dall'accoppiata Farina - Kunze , avrà la regia di Andreas Gergen e la direzione musicale di Koen Schoots. A coprire i ruoli di Don Camillo & Peppone rispettivamente Andreas Lichtenberger e Frank Winkels , nel ruolo della narratrice della storia la vecchia signora Gina  Maya Hakvoort , nella coppia degl'innamorati Mariolino e Gina Kurosh Abbassi e Jaquiline Reihnold . Aspettiamo dunque questa premiere sperando che questa storia italiana possa prima o poi arrivare a teatro anche qui .



venerdì 28 ottobre 2016

BOHÈME, AMORE A PRIMA VISTA

Innamorarsi perdutamente di un’opera, come se fosse la prima volta, quasi fosse alla prima assoluta. E invece parliamo della pucciniana Bohème, vista al Regio di Torino il 20 ottobre 2016 in occasione del centoventesimo anniversario dal debutto, avvenuto proprio nella culla lirica della capitale sabauda l’1 febbraio 1896.

Merito in primo luogo della coraggiosa regia di Àlex Ollé, direttamente dal gruppo teatrale di rottura La Fura dels Baus, che riesce nell’intento di scrostare dal capolavoro la patina di vecchiume e di sacrale filologia che uno spettacolo così a lungo replicato, rivisto, reintepretato ha accumulato negli anni. Io stesso ne avevo viste svariate edizioni: nel 1984 con Fiamma Izzo (la mia prima volta all’opera e al Regio), nel 1996 l’edizione Pavarotti/Freni del centenario, nel 2010 con Barbara Frittoli, e nel 2015 il revival zeffirelliano alla Scala.
La freschezza di questa produzione è garantita non tanto dalla scelta (sicuramente non inedita) di ambientare nella periferia di una contemporanea metropoli le giovani pene d’amore, gioiosa miseria d’artista e povertà esistenziale di Mimì, Rodolfo, Musetta e Marcello, quanto dall’andamento quasi cinematografico, realistico e attuale del ritmo registico, che non si scolla mai dalla partitura, al netto di un paio di incongruenze che non intaccano la riuscita dell’insieme.
Se nella composizione di un’opera è già scritto l’aspetto visivo della vicenda scenica tanto più abbiamo apprezzato la capacità di Ollé di farci entrare nei microcosmi degli appartamentini dei protagonisti, che continuano a vivere anche mentre l’azione si svolge altrove. La scenografia di Alfons Flores, coadiuvata dalle bellissime luci di Urs Schönebaum, è infatti composta da una serie di scarne strutture mobili che ci mostrano, con effetto “finestra sul cortile” gli interni di altrettante stanze e locali.

La messa in scena vince quindi la sfida di farci entrare in sintonia con i personaggi e le loro emozioni, le loro sofferenze, i loro amori (rendere credibile l’innamoramento di Mimì e Rodolfo, che sboccia in poche battute musicali, è davvero una sfida per qualsiasi regista), con un sapiente uso del “primo piano” persino nell’emorme palco del Regio, alternato alla grandiosità delle scene di insieme. Peculiare il CAFFÈ MOMUS, trasformato in un lounge-bar radical-chic in cui capiamo sin dall’inizio che i poveri studenti sono incautamente incappati: chi di voi non si è mai trovato di fronte a un conto salatissimo lontano dalle proprie tasche, per non far brutta figura con gli amici?

E’ vincente tutto il team artistico: i costumi di Lluc Castells trasformano Rodolfo (il bravissimo tenore peruviano Iván Ayón Rivas), in un drammaturgo nerd che cerca ispirazione sul suo pc portatile, e Mimì (l’applauditissima Erika Grimaldi) in una giovane colpita dalla tisi dei giorni nostri, il tumore. Marcello (il versatile Simone del Savio) è invece un graffittaro squatter innamorato della ragazza di mondo Musetta (la talentuosa Francesca Sassu), che smessi i panni della volubile vamp mostra tutta la sua umanità aiutando Mimì, mentre Schaunard (Benjamin Cho) è un chitarrista burlone dalla risata contagiosa e la cresta da ventenne di oggi.



Impossibile per gli appassionati di musical non pensare alla rock-opera RENT, riscrittura della Bohème nella New York alla fine del ventesimo secolo, e questa edizione è un po’ un RENT riportato alla musica originale, tanto che ti aspetteresti di sentire i protagonisti, tutti giovani e credibili, cantare un rock indiavolato o un rap grintoso, invece quando aprono bocca per fortuna escono le magiche note pucciniane, che nella spigliata e attenta direzione di Gianandrea Noseda, sortiscono un intrigante effetto spiazzante che fa da detonatore all’eterna modernità dell’opera. Un’amore a prima vista.

Franco Travaglio


Foto del primo cast. Ramella&Giannese - Edoardo Piva

martedì 25 ottobre 2016

SCHIKANEDER: riflessioni sul libretto.

a cura di Anna Hurkmans

Indubbiamente si esce dal musical “ Schikaneder” inebriati di suoni, colori e forme di grande bellezza estetica. Un vero tripudio di belle voci, attori convincenti, costumi assolutamente meravigliosi (me ne intendo, sto facendo  costumi settecenteschi per il nostro “Casanova”) scenografie di grande impatto, una regia che attira  l’attenzione in ogni momento, con una mano molto felice nelle scene di gruppo. Dunque uno spettacolo riuscito perfettamente da tutti i punti di vista? 
Qui ci vuole una riflessione e non posso negare che questa riflessione sono riuscita a farla solo dopo un po’ di tempo. La prima impressione è effettivamente quella della perfezione. Mi sono solo resa conto che mancava qualcosa, c’è qualcosa che non lasciava del tutto soddisfatti. E quel qualcosa non l’avevo nominato nell’elenco degli aspetti riusciti del musical qui sopra. E’ il libretto.
Ripensando alla storia vista e rileggendo il programma mi sono imbattuta in una illogicità: lo spettacolo si chiama “Schikaneder, ma il personaggio principale sembra lei, la moglie Eleonore. Non solo perché il suo ruolo offre molte più sfumature e sviluppi di carattere, mentre quello del marito risulta unidimensionale (cosa ancora maggiormente sottolineata dalla recitazione stereotipata  di Seibert, peraltro bravo come cantante (in certi momenti sembrava avere a che fare con il Gastone della “Bella e la Bestia” con quelle sue braccia che si muovevano come le pale di un mulino). Eleonora è infatti la protagonista del prologo, in cui dice espressamente di voler raccontare la sua storia col marito dal suo punto di vista. Dunque è lei che guida il racconto, di lei si sa tutto dalle sue origini in poi. Il marito entra solo di seguito.
Ma c’è di più. Qui in Italia il nome Schikaneder è noto solo a qualche musicista. (Ho fatto la prova, pochi risultati anche lì!) mentre a Vienna è indubbiamente (un po’?) più noto. Ma anche in quel caso lo si conosce solamente come il librettista del Flauto magico di Mozart. 
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Hanno dunque fatto bene a chiudere il musical con una bellissima scena in cui si assiste alla prima di quest’opera dal backstage.
Mozart non viene mai nominato nel musical, c’è solo qualche accenno a “quel compositore ubriacone”. Vabbene, accettiamolo, il fatto di  trattare Mozart sempre come il ragazzaccio di “Amadeus”. Non volerlo portare in scena è una scelta accettabile. Ma quello che non si capisce durante tutto il secondo atto del musical è da dove viene improvvisamente fuori questo libretto, per niente affatto sempliciotto? Un testo in cui si mescola l’esoterismo orientale con l’ideale massonico, la speranza nel progresso tipico dell’Illuminismo con conoscenze dell’antico Egitto. Non si vede mai Schikaneder con una penna in mano né con un libro. Dovrebbe aver avuto almeno una certa cultura, che dal personaggio non appare mai. Dovrebbe essersi almeno occupato per un po’ di tempo con la scrittura di questo libretto, oltre a correre dietro alle gonne (e che gonne!) delle attrici. Avrà ogni tanto mandato una parte del libretto al compositore e discusso con lui? Avrà anche riscritto qualche scena non del tutto riuscita? Avrà avuto i suoi dubbi e i suoi problemi? E non gli è mai venuto in mente di discuterne con gli  amici cantanti e attori?  Mi è poi difficile credere che dobbiamo la creazione del geniale  personaggio di Papageno solo al fatto che in soffitta lui aveva ritrovato un curioso costume verde piumato, come viene affermato qui. E che l’ambientazione nell’antico Egitto era causata dal ritrovamento di una vecchia scenografia da riutilizzare.
Qui invece niente, sembra che questo meraviglioso libretto sia improvvisamente caduto dal cielo. Non sembra sia costato nessuna fatica e nessun impegno a Schikaneder.
Bene, il mio parare è dunque che il libretto, almeno nel secondo atto, sia debole. Come spesso succede nei musical sarebbe augurabile una riscrittura di alcune parti, con un approfondimento del personaggio di Schikaneder: non solo capocomico audace e Dongiovanni ma anche intellettuale dal gusto originale e raffinato. (Tra l’altro quella con Mozart era un’amicizia di lunga data, dunque avranno discusso spesso del lavoro insieme.) Il secondo atto necessiterebbe anche di qualche  taglio, anche di musiche troppo ripetitive. Allora potrebbe meritarsi il grande successo.

lunedì 24 ottobre 2016

Sogna in grande !


schikaneder_milica-jovanovic-eleonore-schikaneder_vbw_deen-van-meerWien – Raimund Theater. La recita di “Schikaneder”, la travolgente storia d’amore di Emmanuel e Eleonore, va in scena in una fresca domenica di ottobre. Lo spettacolo tanto atteso è un autentico turbinio di emozioni. Nato da un’idea del sovrintendente Christian Struppeck, curatore del libretto, lo spettacolo racconta la vita di Johann Schikaneder attraverso gli occhi della moglie Eleonore. I lettori italiani probabilmente riconosceranno Schikaneder come librettista de “Il flauto magico” di Mozart: in realtà egli è stato uno dei padri della drammaturgia teatrale austriaca. Ha infatti gestito per dieci anni insieme alla moglie il Theater auf den Wieden.

Le musiche dello spettacolo, scritte da Stephen Schwarz, sono perfettamente nello stile dell’epoca di Schikaneder. Durante la conferenza stampa lo stesso autore ha comunicato che l’organico orchestrale è lo stesso de “Il flauto magico”. Tutto il primo atto vede un susseguirsi di recitativi e di numeri musicali che lasciano l’ascoltatore letteralmente attaccato alla poltrona. I numeri musicali “Träum Groß” e “Liebe Siegt” sono le vere fondamenta di uno spettacolo attualissimo e per nulla vecchio. La costruzione dello spettacolo è avvenuta in varie fasi, le quali hanno visto numerosi aggiustamenti. Basti pensare che il titolo originario era “Emmanuel & Eleonore”! I vari cambiamenti hanno contribuito a migliorare e a rendere più efficace il musical. Grazie alla regia del grande Sir Trevor Nunn il pubblico non si annoia mai. Il palcoscenico funziona alla perfezione, i costumi curati da Anthony Ward  sono semplici, di grande effetto e molto dettagliati. L’occhio dell’ascoltatore rimane soddisfatto.

Il cast dello spettacolo è un miscuglio di vari “generi vocali” tutti perfettamente incastrati in una storia d’altri tempi perfettamente attuale. Milica Jovanovic, giovane protagonista della spettacolo, nel ruolo di Eleonore sfoggia sicurezza oltre a una pregevole maestria nell’utilizzo del proprio impianto vocale e capacità attoriali degne di nota.



Schikaneder

Ricardo Frenzel Baudisch (il ruolo da protagonista è affidato a Mark Seibert) è uno Schikaneder divertente, a volte un po’ goffo ma pienamente nella parte. Superlativa Katie Hall nel ruolo di Maria Anna Miller, una soprano leggero che dimostra un’invidiabile padronanza della voce.  Il timido e amorevole Johan Friedel è interpretato da Florian Peters, recente cover di Mozart in piena crescita: sicuramente sentiremo molto presto parlare di lui. L’orchestra dei Teatri Riuniti Viennesi è in grado di trovare una leggerezza e una coloratura di piena epoca mozartiana, è bello notare come un’orchestra abituata a lavorare con linguaggi moderni riesca a ottenere un così buon risultato.

Koen Schoots, presente sia come staff creativo (suoi sono gli arrangiamenti vocali) sia come direttore musicale, è sempre più una punta di diamante di un teatro moderno e sempre sul domani. Si consiglia vivamente la visione. Si replica fino a marzo 2017.

Matteo Firmi - Cecilia Zoratti

sabato 15 ottobre 2016

Quattro chiacchiere con Drew Sarich

Vienna, 1 ottobre 2016
Insieme al compositore Raffaele Paglione ho avuto l’onore e il piacere di fare alcune registrazioni di brani del nostro musical VINCENT con Drew Sarich e sua moglie Ann Mandrella a Vienna.
La sera prima avevamo avuto occasione di ammirare la sua bravura come uno scatenato Che in Evita con la nuova protagonista Marjan Shaki. In una pausa di registrazione non mi sono naturalmente fatta sfuggire l’occasione di parlare con Drew del suo mestiere e della situazione del musical in Austria e anche in America, dato che è americano di nascita.

da sinistra: Raffaele Paglione, Anna Hurkmans, Drew Sarich e Ann Mandrella

Il nostro colloquio si è svolto in tedesco e la prima cosa che ho fatto è stato complimentarmi con lui per la perfetta pronuncia di questa lingua, fatto raro per americani (pensavo al pesante accento di Friedman o Lutwak). E’ infatti nato a S.Louis e si è diplomato al Conservatorio di Boston. La sua risposta era che effettivamente ha dovuto lavorarci molto e che in questo caso è stato di grande aiuto sua moglie Ann, che pur essendo nata in Francia ha comunque un padre tedesco.
La spiegazione che mi ha data di questo suo impegno dimostra la sua grande professionalità: “Quando la sera mi esibisco di fronte a persone che hanno pagato un biglietto, talvolta anche molto costoso (pensate che di sabato e domenica i biglietti più economici per uno spettacolo come Schikaneder costano 61.00 euro!) ho il dovere di farmi capire da tutti in un tedesco perfetto.
I primi passi nel mondo del musical li ha messi in teatri off Broadway e poi in altre città americane dove il suo ruolo più importante fu Judas nel Jesus Christ. Nel 1999 è arrivato a Berlino dove ha recitato in ben 580 rappresentazioni di Quasimodo nel Hunchback of Notre Dame della Disney. Sono seguiti Jekyll and Hyde, Dracula e di nuovo Jesus Christ, sia nel ruolo di Judas che di Jesus.
Nel 2006 ha debuttato a Broadway con il musical molto atteso Lestat, una storia di vampiri. Aveva un contratto di un anno e perciò aveva fatto venire sua moglie e i suoi due gemelli Amélie e Noah, nati da poco. Purtroppo il musical fu un terribile flop e malgrado il contratto i poveri interpreti vennero licenziati senza pietà. Furono tempi molto difficili, mi racconta Drew. Perciò è contento che in Germania e Austria cose del genere non succedono: quando un musical per mancanza di pubblico viene tolto dal cartellone, gli interpreti vengono pagati per tutto il periodo del loro contratto. Questo è accaduto per esempio con il musical Rudolf, sul figlio di Sissi suicida a Mayerling, che voleva bissare il successo di Elisabeth, ma che è rimasto in scena solo tre mesi. Eppure era di un autore famoso, Frank Wildhorn, e con un cast notevole.
Ho chiesto a Drew quale poteva essere la causa dell’insuccesso e lui ha visto pecche soprattutto nel modo in cui era raccontata la storia: troppo romantica e dolciastra, dove invece era in realtà una storia cruda e molto più interessante. D’altronde neanche Elisabeth è tra i musical favoriti di Drew. Mi ha spiegato perché non è riuscito mai a conquistare Londra o New York. Non è solo per la poca conoscenza di quel personaggio storico (per gli Inglesi “Elisabeth” è la loro Elisabetta I) ma soprattutto perché questo musical è troppo platealmente copiato da Evita, secondo lui: questo comincia col personaggio di Lucheni, disegnato su quello del Che. Un brano come Kitsch è molto simile a Oh, What a circus e Ich gehör nur mir assomiglia stilisticamente a Don’t cry for me Argentina. Lo stesso Kunze aveva dichiarato che si era ispirato ad Evita e secondo Drew il pubblico di lingua inglese l’avrebbe subito percepito.
Dato che eravamo in argomento gli ho chiesto come mai l’altro grande successo di Kunze, Rebecca non era mai arrivato a Broadway, malgrado vari annunci di contratti. Qui mi ha invece raccontato tutta un’altra storia: il sedicente produttore, con cui erano in corso lunghe e faticose trattative, risultava alla fine non esistente!
In ogni caso Drew era contento di essere tornato in Europa, dove la sua carriera procede brillantemente, sia a Londra (Jean Valjean nei Miserables), Germania (Hedwig, Tanz der Vampire, Rocky) e Austria (Jesus Christ, Rudolf, Tanz, Sister Act, Love never dies, Evita).
Per Rocky, il musical basato sul film omonimo, Drew si è preparato intensivamente non solo nel canto e nella recitazione, ma ha preso anche vere lezioni di box: in scena un attore non ha certamente una controfigura come succede spesso nel cinema!
Rocky è andato bene, ha tenuto per 3 anni ad Amburgo, ma per la famiglia di Drew che viveva a Vienna significava un grosso sacrificio, potendosi vedere raramente. Perciò Drew e Ann erano molto felici di accettare nell’estate passata i due principali ruoli in Jekyll & Hyde nel festival estivo di Zwingenberg: non avevano mai recitato insieme in un musical (lei è attualmente la protagonista nel musical Ich war noch niemals in New York). E ci hanno preso gusto: quando hanno proposto loro di fare insieme il musical da camera The last five years, anche se per sole 5 rappresentazioni a dicembre a Vienna, hanno subito accettato con gioia.
Quanto ai suoi musicals preferiti, quelli che considera i massimi capolavori del genere, Drew non ha dubbi: si tratta della triade West Side Story, Jesus Christ Superstar e Les Miserables.
Certo, ci vuole moltissima capacità organizzativa per tenere insieme una famiglia con due bambini che hanno adesso 12 anni. I nonni vivono lontano. Così Ann accetta solo ruoli fuori Vienna quando Drew è a casa e viceversa.
Intanto la piccola Amelie sembra seguire le orme dei genitori: ha lezioni di canto e di violino e canta e recita in alcune rappresentazioni di Evita. Suo fratello ha anche idee chiare sul proprio futuro: vorrebbe lavorare nel cinema, ma dietro lo schermo. Forse nel montaggio.
In questa vita piuttosto movimentata Drew e Ann hanno un desiderio: rimanere persone normali. Mi è sembrato che ci riescano perfettamente! E il desiderio di Raffaele e me è di vederli una volta insieme sulla scena come Vincent e Sien, la sua amante. Sarebbero perfetti anche lì.

di Anna Hurkmans

domenica 9 ottobre 2016

Stefania Seculin, Da Trieste a....

Melide (Svizzera) – In occasione della produzione svizzera di “Titanic” sul lago di Lugano abbiamo intervistato Stefania Seculin, che nel musical interpreta la protagonista Kate McGowan. Con lei abbiamo parlato di questa nuova produzione italo-tedesca, della sua carriera e del suo rapporto con il musical e con l’operetta.



Da Trieste a Lugano. Finora la tua strada ti ha portato dappertutto. Qual è la tua esperienza più interessante?
Questa! (ride, ndr) Prima di tutto bisogna definire il concetto di “interessante” perché questa la è sotto ogni punto di vista. Recito in un musical in tedesco su un lago: è quello che ho sempre sognato di fare! Credo davvero che si tratti di uno dei sogni realizzati nella mia vita. Adoro questo musical: le musiche sono pazzesche, la storia è meravigliosa, la location è incantevole… e il cast bilingue rende il lavoro ancora più entusiasmante. Non tanto il dover recitare in tedesco quanto l’alternanza delle due lingue. Ne consegue quindi un doppio lavoro perché lo spettacolo non è sempre uguale, ci sono le sfumature che rendono diverse le rappresentazioni. Anche a livello vocale c’è una grande differenza: i brani con vocali non sono come quelli con più consonanti! Nella mia carriera ho avuto anche tante altre esperienze, in particolare al teatro Rossetti di Trieste, da cui sono partita, con i vari “Musical StarTS” e “Christmas StarTS” che resteranno sempre nel cuore di tutti i triestini. In un ambiente così professionale noi ci siamo sentiti a casa, ed è molto bello proprio perché non capita tutti i giorni! Tutti noi speriamo di poterli replicare invece di dover percorrere chilometri e chilometri per partecipare a concerti in altre città. Potrebbe diventare una sorta di appuntamento annuale con il musical!
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Tra una produzione italiana e una tedesca spesso si possono trovare molte differenze. In quale ti senti più a tuo agio?
È cosa nota che io abbia uno spirito asburgico, quindi la risposta è abbastanza ovvia (ride, ndr). Mi trovo bene in una produzione tedesca per molte ragioni: atteggiamenti, ritmi, modo di fare, puntualità, precisione, il lavoro che c’è dietro … tutti fattori che rispetto all’Italia cambiano tanto. Con questo non intendo dire che in Italia sono introvabili, ma la precisione dei tedeschi è qualcosa di unico.

E a livello di traduzione ti trovi meglio in italiano o in tedesco?
Da sempre ho la passione per la lingua tedesca. “Titanic” nasce in inglese ma io per mesi ho ascoltato la versione tedesca. La traduzione italiana a primo impatto non mi è dispiaciuta. Poi con il tempo provando anche a canticchiarla ho pensato che non è male rispetto a tante altre traduzioni che sono state fatte in italiano. Mi sono abituata poi sentendola in scena: è morbida, mi piace. In italiano è più difficile tradurre rispetto al tedesco, essendo quest’ultimo molto più concreto: per esprimere un concetto basta una singola parola. I momenti romantici in italiano sono indubbiamente più dolci, il tedesco ti trasmette più grinta, ci sono sfumature diverse in ogni scena, ed è proprio questo che rende diverso uno spettacolo dall’altro. Personalmente non vivo il “Titanic” come un giorno in italiano e un giorno in tedesco, per me sono due spettacoli diversi. All’interno dello spettacolo ho una parte molto importante, ed è interessante vedere come il mio personaggio si evolve in modo diverso a seconda della lingua. La vera sfida è stata adattare la traduzione alla musica perché lo spettacolo è tanto cantato, non ci sono solamente due canzoni e il resto è recitato. La versione che voi sentirete in scena è stata modificata nel corso delle prove: abbiamo modificato il testo talvolta con rime più efficaci, concetti più diretti, parole diverse. Con la traduzione italiana secondo me è stata fatta un’operazione molto valida.


Trieste è la città del musical e dell’operetta. Quale forma di spettacolo preferisci?
Chiaramente il musical perché io artisticamente provengo da lì. In questi ultimi anni il musical si sta evolvendo mentre l’operetta è rimasta ferma alla tradizione. Questo non significa che non si debba conoscere perché le tradizioni sono sempre molto importanti. Entrambe le forme di spettacolo vanno mantenute e non si può andare avanti solo con una. Non possiamo tralasciare l’operetta in quanto parte della tradizione triestina, ma non possiamo nemmeno tralasciare il musical perché bisogna far entrare sempre di più in contatto il pubblico con questa nuova forma di spettacolo che in Italia è ancora poco conosciuta.


Melide 18 Agosto 2016  M.Firmi - C.Zoratti

giovedì 6 ottobre 2016

La regina del musical Tedesco

a cura di Matteo Firmi
Traduzione e consulenza linguistica a cura di Cecilia Zoratti

In Italia è stata la prima performer ad interpretare Elisabeth. Maya Hakvoort, 49 anni, voce perfetta e presenza scenica ammaliante. La troviamo a San Gallo nel ruolo di "La vecchia signora Gina" e, dopo anni dal suo debutto, la troviamo ancora in spledida forma. Abbiamo approfittato della sua presenza in Don Camillo & Peppone per una bella chiacchierata.
  1. Spesso tra attore e musical è amore a prima vista. Quando e come è avvenuto il primo incontro con il mondo del musical?
All’età di 7 anni ho visto per la prima volta Jesus Christ Superstar. Al termine dello spettacolo avevo perfettamente chiaro in mente che cosa volessi diventare: volevo cantare, ballare e recitare. In poche parole: volevo diventare una musical performer!
  1. Quali particolarità dovrebbe avere un musical per riuscire a conquistare il pubblico?
Per toccare il cuore del pubblico, un musical necessita di diverse componenti: la trama deve essere interessante, la musica diretta e coinvolgente. E’ inoltre fondamentale un’atmosfera piacevole all’interno del gruppo di lavoro: ci deve essere una grande sintonia all’interno del cast e tra gli attori e il direttore d’orchestra. Ma un musical non può esistere senza un librettista e un compositore!
  1. E’ vero che i ruoli interpretati influiscono sulla personalità dell’attore?
Certamente! Ognuno di noi entra in contatto con un personaggio diverso da se stesso, e chiaramente ciascuno si approccia al ruolo da interpretare in base al proprio carattere e alla propria personalità. Per noi è sempre un grande arricchimento anche a livello personale.
  1. L’imperatrice Elisabeth è stata molto importante per la Sua carriera. Che relazione ha con questo ruolo?
Dal punto di vista caratteriale la comprendo molto bene. Se fosse nata e vissuta in quest’epoca, probabilmente la sua vita non sarebbe stata così complicata e tormentata.
  1. Ogni performer ha un ruolo preferito: qual è il Suo? E c’è un ruolo che sogna di interpretare?
Non saprei dire quale sia il mio ruolo preferito! Indubbiamente Elisabeth mi ha influenzata molto. Mi piacerebbe continuare a interpretare Diana in Next to Normal e interpretare di nuovo Norma Desmond in Sunset Boulevard. Tra i ruoli ‘nuovi’ mi piacerebbe interpretare la madre in Das Wunder von Bern (Il miracolo di Berna) o Mrs Johnston in Blood Brothers. Mi piacerebbe anche recitare in nuove produzioni.
  1. Nel corso di una produzione, per più sere di fila deve interpretare lo stesso ruolo. E’ emozionante ogni volta o con il tempo si trasforma in una sorta di routine?
Nel nostro lavoro non si dovrebbe mai parlare di routine: se così fosse significa che si sta sbagliando qualcosa, e questo viene percepito anche dal pubblico. Dal 2005 il mio calendario cambia ogni sera intervallando musical con spettacoli prodotti da me. Adesso interpreto Diana in Next to Normal a Dortmund alternato alla vecchia Gina di Don Camillo & Peppone a San Gallo. Nel frattempo proseguo con il mio spettacolo 4 Voices of Musical.
  1. Attualmente fa parte del cast di “Don Camillo & Peppone”: come è entrata nel ruolo della vecchia Gina? Si sta divertendo a interpretare questo personaggio? Cosa ci può raccontare di questo nuovo musical?
E’ particolarmente interessante vivere in quel piccolo mondo in cui si svolge tutta la vicenda. Mi piace osservare il mondo con gli occhi della vecchia Gina. Spero di avere la sua stessa visione della vita anche quando starò per morire! Cosa vi posso dire? Abbiamo un cast fantastico, un coreografo molto preparato e un direttore d’orchestra formidabile!
  1. Che rapporto ha con i tanti fans che la seguono sui social? Come ha avuto l’idea di Maya Quakvoort?
Quando il tempo me lo consente, cerco sempre di ringraziare tutti coloro che mi seguono così fedelmente. Alcuni dei miei fans arrivano appositamente dal Giappone! L’idea di Maya Quakvoort mi è venuta quando ho visto la paperella in un negozio. Adesso l’ho un pochino trascurata, ma presto torneremo a viaggiare insieme!
Dopo questa chiacchierata aspettiamo con ansia il 17 ottobre quando, in occasione del suo compleanno, proporrà Maya Hakvoort 50 al Raimund Theater di Vienna.

Articolo apparso sul ultimo numero de Amici del Musical webzine

giovedì 29 settembre 2016

A Milano è tempo di "Footloose"





Ha debuttato al Teatro Nazionale di Milano il musical Footloose, la nuova produzione firmata Stage Entertainment, che riprende a produrre spettacoli in Italia dopo alcune stagioni, puntando su un titolo sicuro,  realizzato – come musical – successivamente alla pellicola degli anni Ottanta, che ha lanciato un allora esordiente Kevin Bacon.
Il musical è ambientato a Bomont, un piccolo paese della provincia americana. Qui predica un pastore protestante, che ha bandito la musica rock, il ballo ed alcuni tipi di letture perché a suo dire -  e di parte della cittadinanza adulta - corrompono la  moralità. La vera ragione di tale accanimento risale a pochi anni prima, quando alcuni ragazzi, tra cui il figlio del pastore, hanno perso la vita in un incidente stradale, mentre rientravano da un concerto.

L’adattamento per il palcoscenico realizzato dallo sceneggiatore della pellicola originale, Dean Pitchford, insieme a Walter Bobbie, pur mantenendo pressoché inalterati personaggi e situazioni, risulta profondamente diverso rispetto al film, anche solo per il fatto di contenere più canzoni – coinvolgenti e di facile ascolto – che seguitano, però, a “fare da colonna sonora”, senza necessariamente essere funzionali a ciò che viene raccontato sul palcoscenico.
In questo senso, il lavoro di traduzione e adattamento del testo e delle liriche in italiano, compiuto da Franco Travaglio, è risultato impegnativo, ma ha dato i suoi frutti, talvolta davvero spassosi; come nel caso della canzone La mamma dice…, in cui il rozzo e ingenuo Willard espone all’irrefrenabile Ren la propria filosofia di vita, basata sui consigli dispensati dalla propria madre.
Apprezzabile - con qualche riserva - la scelta di mantenere in parte in lingua originale le hit più conosciute del film (Footloose, Holding Out for a Hero). 

Chiara Noschese, in qualità di responsabile casting e supervisore artistico, ha radunato per questo spettacolo un nutrito cast di professionisti – giovani e adulti – impegnati a dare il meglio. E l’obiettivo non è lontano dall’essere raggiunto.


Beatrice Baldaccini e Riccardo Sinisi

Riccardo Sinisi, al suo primo ruolo da protagonista, non delude, nel complesso, le aspettative. Il suo Ren McCormack è forse leggermente più “casual” rispetto all’omologo cinematografico, ma dona al suo personaggio una determinata vitalità derivante dalla delusione e dalla conseguente voglia di lottare per affermarsi come individuo.
Smessi i panni delle varie Cenerentola e Sandy, Beatrice Baldaccini interpreta Ariel, la figlia del pastore, rivelando al pubblico aspetti interpretativi inediti: un anelito di ribellione all’autorità e alle convenzioni di genere, sempre conservando quel pizzico di candore che, anche in questo contesto, non guasta. E non passa inosservata la sua interpretazione accanto a Brunella Platania (la moglie del Reverendo Moore, interprete capace, che mette il suo bagaglio esperienziale al servizio del suo personaggio, n.d.r. ) e Loredana Fadda (la madre di Ren) della canzone Meglio stare zitta; sentendo le tre performer cantare, ci si rende conto che non è certamente un consiglio da cogliere alla lettera!
Per Antonello Angiolillo interpretare ruoli adulti “ispirati”, o uomini in crisi con la moglie e in difficoltà con i figli è ormai quella che si dice “una passeggiata di salute”. Il suo Reverendo Moore, uomo in crisi, attanagliato dal dolore per la perdita di un figlio, si aggrappa a Dio, senza cercarlo nelle altre persone, rischiando così di perdere gli affetti a lui rimasti. 

Sono da citare anche gli altri ruoli adulti: Floriana Monici, che in questo spettacolo ricopre più ruoli, ma soprattutto con il personaggio di Betty Blast sembra tornare indietro di qualche anno, quando era accanto a  Fonzie nella versione italiana di Happy Days), Alessandro Parise e Roberto Colombo. 

Quello che fa, lo fa bene: Renato Tognocchi si fa nuovamente notare  - a pochi mesi dall’esperienza nel musical Fame - nel ruolo di Chuck Cranston, il ragazzo che nessun padre vorrebbe vedere, accanto alla propria figlia.

Giulia Fabbri, nel ruolo di Rusty, sfoggia molta di quella grinta che aveva abbastanza tenuto da parte interpretando la giovane giornalista di Newsies; suo il compito di affrontare – interamente in inglese – una hit memorabile come Let’s Hear it for the Boy.

Giulio Benvenuti interpreta un convincente, anche se – a tratti – troppo “esasperato” Willard Hewitt, il personaggio che è un po’ la “mascotte “ dello spettacolo; la già citata La mamma dice… è un inconfondibile e indimenticabile “biglietto da visita”.

L’orchestra dal vivo è diretta da Andrea Calandrini. Scene, costumi e luci (queste ultime, di particolare impatto visivo sulle note di Holding Out for a Hero, e non se ne comprende la ragione, n.d.r.) confermano lo standard qualitativo delle produzioni targate Stage Entertainment. 

Repliche fino al 31 dicembre a Milano, poi a Lugano (Svizzera) dal 20 al 22 gennaio 2017.

Beatrice Baldaccini (Ariel) e Riccardo Sinisi (Ren)

venerdì 16 settembre 2016

Matteo Forte: "Vi presento la Stage 2.0"

MILANO - Matteo Forte, amministratore delegato di Stage Italia, illustra lo sviluppo della strategia aziendale del colosso mondiale del  live entertainment, fondato dall’olandese Joop van den Ende; e, tra indiscutibili successi – con qualche errore commesso -  e nuovi progetti, espone il suo punto di vista (di operatore privato) sul sistema di finanziamento pubblico alla cultura nel nostro Paese.

Matteo Forte, AD Stage Entertainment Italia
Ci racconti come Stage Entertainment ha iniziato la sua avventura in Italia.
Nel 2007 abbiamo rilevato il Teatro Nazionale di Milano, iniziando i lavori di ristrutturazione, con l’obiettivo di importare in Italia il modello esistente negli altri paesi europei: musical che prevedessero grandi investimenti a livello produttivo e il tentativo di collaudare in Italia la lunga tenitura, ovvero la permanenza nei nostri teatri di uno stesso spettacolo per l’intera stagione. Abbiamo iniziato con La Bella e la Bestia, nel 2009, lo spettacolo è andato molto bene a livello commerciale: sono stati venduti oltre 300 mila biglietti, con un incasso superiore ai sedici milioni di euro.  Tuttavia, i costi di gestione dello spettacolo risultavano più alti di questo incasso straordinario; abbiamo dunque provato a spostare la produzione, nel 2010, da Milano a Roma, per essere presenti sui due principali mercati di riferimento italiani e poi per poter “spalmare” i costi di allestimento dello spettacolo su due stagioni. Ci siamo così resi conto che Roma, a differenza di Milano, era un mercato molto meno ricettivo, rispetto al musical di qualità: il pubblico romano è molto più affezionato agli interpreti e a spettacoli legati alla tradizione della città.
Questi primi due anni sono stati indicativi del fatto che la “cultura del musical” in Italia andasse dovesse essere largamente sviluppata.
L’anno successivo, spostando Mamma Mia! da Milano a Roma, ci siamo accorti che il risultato era peggiorato rispetto a La Bella e La Bestia, e abbiamo preso la decisione drastica di concentrare tutte le attività su Milano. Al termine dei quattro mesi di tenitura de La febbre del sabato sera, decidiamo di cambiare completamente il nostro modello di business: produrre allestimenti di alta qualità, senza spendere dieci volte quello che spende un produttore italiano medio, ma magari solo il doppio o tre volte tanto. Abbiamo iniziato a utilizzare il teatro anche in altro modo, ospitando altri spettacoli oltre alle nostre produzioni e cercando uno sponsor che volesse essere visibile sul mercato e, d’altra parte, ci aiutasse in termini economici: la visibilità che Barclays ha avuto all’interno del Teatro Nazionale ha aperto la strada a molte altre aziende che ci hanno chiesto spontaneamente di poter essere visibili all’interno di questo luogo.
  
Questo “nuovo” modello di business viene utilizzato nei teatri Stage Entertainment di tutto il mondo?
No. Tant’è che la nostra multinazionale è sempre stata concentrata sulle attività di produzione e vendita degli spettacoli. Questo fino a luglio 2015, quando Stage Entertainment è stata acquistata per il 60% da un fondo d’investimento. Il restante 40% è ancora nelle mani di Joop Van Den Ende, fondatore e presidente, la cui “missione personale” era quella di realizzare spettacoli “top quality, senza “contaminarli” con nessun altro marchio, rendendo i teatri luoghi davvero speciali.
Devo dire che l’entrata del fondo d’investimento è stata – da un punto di vista organizzativo – davvero efficace, perché le persone che ci lavorano sono chiaramente molto orientate al profitto e alla strategia aziendale, un po’ meno legate alla parte creativa.
Il modello Stage attualmente presente in Italia (produzioni più piccole, con una tenitura massima di quattro mesi; l’utilizzo del teatro come luogo per le aziende nel quale comunicare; un dipartimento dedicato a eventi aziendali non convenzionali) funziona, tanto da rappresentare il punto di riferimento a livello internazionale per tutte quelle attività di sponsorizzazione e che sono”altro” rispetto alle competenze più specificamente teatrali. Stiamo cercando di convertire alcuni dei nostri teatri nel mondo su questo modello.

Cosa nello specifico ha funzionato meno negli anni scorsi, tanto da indurre Stage Italia a cambiare strategia?
L’errore che non abbiamo riconosciuto di aver fatto nel corso dei primi tre anni è stato quello di investire troppi soldi negli spettacoli. Io ho visto quest’anno diverse produzioni ben fatte, l’ultima è Jersey Boys. Una produzione realizzata evidentemente con un budget che, a confronto con quello de La Bella e la Bestia, è molto più basso. Eppure si tratta di un buon titolo, prodotto in maniera ottimale. L’errore di Stage, dunque, è stato quello di doversi confrontare con un mercato che produce a basso costo, avendo lo stesso bacino di riferimento, ma con un punto di rientro dell’investimento che è molto più alto rispetto a chiunque altro.
Ci tengo a dire che Stage Entertainment non fa niente di particolarmente innovativo o geniale: facciamo quello che nelle aziende viene fatto regolarmente, ogni giorno. Probabilmente quello che facciamo di diverso da altri operatori è mettere insieme competenze che provengono da realtà aziendali, coniugandole con il mondo del teatro e della cultura. Il risultato è che il Barclays Nazionale è un teatro che non riceve finanziamenti pubblici, mantenendo comunque il proprio utile, e forse si tratta dell’unico caso in Italia.

Qual è la sua opinione in qualità di manager su quanto ha appena affermato?
Il modello dei finanziamenti dovrebbe essere completamente rivoluzionato, perché oggi il Fus premia aziende poco virtuose, che non riescono ad arrivare al breakeven dei costi e li ripiana non per arrivare a un profitto, bensì a un pareggio nelle spese. Un sistema, dunque, che non incentiva per nulla l’iniziativa imprenditoriale che il produttore o il singolo teatro dovrebbero avere. Il teatro è (anche) un’azienda e i conti devono tornare a prescindere dal fatto che il Governo li ripiani.
Se fai l’imprenditore, i soldi te li devi cercare, e non è facile trovarli: se però sei stimolato dal fatto che non solo devi pagare bollette, dipendenti e quant’altro, ma magari anche generare un profitto dalla tua attività, allora ti ingegni – e noi italiani siamo bravissimi a farlo – per trovare il modo di riuscire ad avere sponsorizzazioni. Lo Stato, attraverso il Fus, invece ti dice: se tu mi dimostri che non ce la fai, allora io ti do quello che ti serve. Che modo è di incentivare il merito, questo?

La vedo raggiante per i progetti dei prossimi mesi. Allora parliamo di questo nuovo allestimento di Footloose…
La scelta del titolo è scaturita dalle indagini (survey) che noi compiamo sulla nostra base-clienti. Footloose è risultato primo su dieci titoli che noi abbiamo profondamente scandagliato, dopo averli proposti al nostro pubblico. L’ultimo titolo che abbiamo scelto in questo modo è stato Dirty Dancing, che ha venduto  centomila biglietti in due mesi. Le survey non saranno affidabili al 100%, però un’indicazione te la danno.

Non teme un effetto “buco nell’acqua”?
Il fatto che Footloose sia stato prodotto nel 2005 da Maria De Filippi – con altri criteri – non mi preoccupa per nulla, perché ormai i milioni di euro che Stage ha investito nel mercato italiano, hanno in qualche modo identificato il Teatro Nazionale come “il tempio del musical”: le persone vengono qui per vedere uno show di qualità. Dunque, una nuova produzione Stage,  presentata in apertura di stagione, con le caratteristiche di qualità che il pubblico si aspetta, mi fa stare tranquillo. Non è assolutamente un titolo innovativo, come ad esempio Next to Normal, che è un bellissimo spettacolo, ma io qui non riuscirei a tenerlo tre giorni, perché non lo conosce nessuno. Io non posso seguire la “pancia del produttore”, io devo seguire il mercato, il quale mi chiede titoli conosciuti, con musiche altrettanto note al pubblico.

Quindi, il trend anni Ottanta funziona?
Sì, ma non perché gli anni Ottanta siano tornati di moda. Va considerato che, negli ultimi quattro anni, il 30% in media del pubblico che è entrato nella nostra sala per assistere a una produzione Stage Entarteinment, non è mai stato in teatro. Il pubblico del musical è femminile, dai 35 ai 55 anni, ha vissuto quel periodo da adolescente e quindi se lo porta nel cuore.





giovedì 1 settembre 2016

Il fascino del Titanic abbraccia il Ceresio

Melide, Lugano ( CH )   18 Luglio 2016  - Il fascino del Titanic non ha età.Dal lontano 1912 la sua storia ammalia e corteggia innumerevoli appassionati e storici. A Melide, a pochi passi dal lago di Lugano, la nave del Titanic si appresta a salpare portando lo spettatore verso una serata piacevole, frizzante e con il cuore a mille. All’entrata è evidente l’eccellente organizzazione dello staff che ha preparato anche una zona ristorazione. Lo scenografo Christoph Weyers ha costruito un piccolo gioiello architettonico in cui in pochi metri quadrati sono stati costruiti la buca dell’orchestra, la nave, l’iceberg e il backstage. Unica nota negativa: la poca profondità del palcoscenico costringe tante volte il cast a doversi muovere in spazi molto stretti.Lo spettacolo, costruito dal regista Stanislav Mosa,è un vero fiume in piena, la cui costruzione difficilmente lascia spazio alla noia. Presenta inoltre una doppia traduzione: a serate alterne si canta in lingua italiana, con traduzione di MiranKoluta, oppure in lingua tedesca. Il cast, sempre lo stesso, vede una flessibilità lessicale rara da trovare nelle produzioni europee. Il direttore musicale Gaudens Bieri gestisce la piccola orchestra composta da 12 elementi con flessibilità e massima attenzione. Kate Mc Gowan, interpretata dalla cantante triestina Stefania Seculin, convince sia per la vocalità elastica e calda sia per la pronuncia in lingua tedesca.Bruno Grassini nel ruolo di Thomas Andrews regala a tutto il pubblico presente un turbinio di emozioni, la sua presenza scenica è quasi una calamita per un occhio attento. Il capitano della nave,Andrea Matthias Pagani, uno dei performer più conosciuti dell’area tedesca, colpisce per la decisione con cui conduce il Titanic durante tutta la serata. La presenza sul palco di Andreas De Majoè altalenante:dà il meglio di sé nel secondo atto ed è una voce da tener segnata nei propri appunti e riascoltare. La coppia Straus, interpretata da Isabel Florido e FolkePaulsen, risulta divertente, tecnicamente preparata e con una particolare affinità nel momento in cui la nave affonda. Suor Cristinasi esprime meglio nelle recite in lingua italiana mentre si notano particolari difficoltà con la lingua tedesca. Lo spettacolo regala al pubblico proveniente da tutta la zona centrale dell'europa (Austria - Germania - Svizzera - Repubblica Ceca - Ungheria) uno spettacolo di 2 ore e 45 ricco di colpi di scena e con scenari mozzafiato. Una produzione notevole.