LO SKIANTO DI UN’ANIMA ESCLUSA
Per il cartellone dello Stabile di Torino Filippo Timi presenta un toccante e immaginifico monologo sulla disabilità.
Difficile dare una definizione di Skianto, l’ultima fatica dell’attore, autore e regista Filippo Timi, visto alle Fonderie Limone di Moncalieri all’interno del cartellone del Teatro Stabile di Torino. Tra il monologo alla Carmelo Bene, il musical surreale alla Roberta Torre, il contenitore multimediale, l’atto unico si dipana a strattoni e nonostante la durata non eccessiva in molti momenti necessiterebbe di una maggiore cura del ritmo teatrale.
A salvare comunque lo spettacolo è l’interpretazione intensa di Timi, che, sorta di Pinocchio moderno col caschetto, parte in pigiama fluttuando su una cyclette, poi ancheggia da Elvis immaginifico e variopinto, per finire cavalcando da unicorno in peluche.
Il tutto per illustrare le molteplice personalità ambite e nascoste di un ragazzo afasico ma impaziente di distruggere il muro che la disabilità ha posto tra lui e la vita, l’amore, la felicità, la normalità.
Timi, che a volte rompe la quarta parete conversando col pubblico, racconta in dialetto umbro i pensieri più profondi di quest’anima esclusa, quasi a sottolineare che né il pietismo né il buonismo, né l’approccio scientifico o psicologico sono adeguati a capire il dramma interiore di chi ha appiccicato da sempre su di sé il marchio della diversità. L’unica soluzione è capirne l’umanità, scoprirne la disarmante tenerezza e tentare di rispondere alla domanda di affetto e accettazione. Tutti i colori, gli effetti (luci di Gigi Saccomandi, costumi di Fabio Zambernardi), i travestimenti di Skianto (che non a caso ha lo stesso titolo di una trasmissione RAI in cui Timi rievocherà le canzoni di Sanremo e i grandi show del sabato sera) servono a dipingere la ricchezza di un mondo interiore che difficilmente riusciamo a cogliere fermandoci alla superficie della disabilità. Come se fossimo noi, per citare il titolo, a schiantarci contro quel muro.
Meno riusciti i momenti che si alternano alle performance di Timi, le canzoni dell’attore-cantante Salvatore Langella e soprattutto i filmati di gattini, i fotomontaggi e le pubblicità grottesche, materiale tratto dal web di tanto in tanto proiettato in proscenio come siparietto. Hanno il sapore di riempitivi e non completano in maniera omogenea e coerente la messa in scena, pur strappando più di una risata. Servirebbe un aggancio: sono il passatempo del protagonista, un’altra proiezione del suo io creativo, un completamento del suo mondo vagamente freak e volutamente pacchiano?
Rimane il dubbio, ma forse non è del tutto involontaria in un’opera di chiara matrice poetica la volontà di lasciare al pubblico una parte delle risposte, nel tentativo comunque riuscito di trattare in maniera nuova e spettacolare una tematica difficile e spesso affrontata con superficialità.
Franco Travaglio
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