lunedì 23 gennaio 2017

Evitabile Evita



Trieste, Politeama Rossetti, 18 gennaio 2017 - Quando il primo, vero, applauso arriva appena alle 22.30, e non riguarda un brano cantato dalla protagonista, c’è qualcosa che non va. Sia chiaro, quell’applauso il co-protagonista se lo guadagna anche ammiccando al pubblico triestino infilando un “‘ndemo, muli!” in mezzo al brano, e se lo merita tutto.

Stiamo parlando di Evita, nella versione italiana (dicono sia la prima, ma non è così) messa in scena da Massimo Romeo Piparo. Che ha voluto nella parte della protagonista (ruolo che, ricordiamo, in passato è stato sostenuto da Julie Covington, Elaine Paige, Patti Lupone, Elena Roger...) la cantante Malika Ayane. Per carità, voce particolarissima e raffinata, ma che alla prova teatrale dei fatti, non regge: per tutta la durata dello spettacolo si ha la sensazione che sia appunto e solo Malika Ayane a cantare i brani di Evita, senza una minima costruzione del personaggio, come si potrebbe cantare in un concerto pop. Infatti, l’interpretazione meglio riuscita è quella di You Must Love Me, pensata per la regina delle cantanti pop: Madonna. L’impervia ed esigente partitura originale webberiana richiede tutt’altra agilità. Soprassediamo sulla presenza scenica.

Al fianco di un onesto Juan Peron (Enrico Bernardi), di un macchiettistico Magaldi (Tiziano Edini) e di una dimenticabile - ahimé - Mistress (dal programma di sala non si evince il nome), il Che di Filippo Strocchi giganteggia, e non solo per la statura fisica del performer. Rimane in scena praticamente sempre, e porta avanti la pesante zavorra malikayanesca con agilità da gatto (la lunga tournee internazionale in Cats è servita, eccome) e voce pulita.

Emanuele Friello conduce l’orchestra dal vivo con abilità, senza sbavature, e per una volta possiamo dire che voci e strumenti erano ben bilanciati. Coreografie minimali, qualche accenno a passi di tango, buon disegno luci e scenografia funzionale che nella celeberrima Don’t Cry For Me, Argentina si trasforma nel balcone di Casa Rosada fin quasi sopra la platea.

La regia di Piparo regala qualche trovata originale, riciclando anche l’idea delle radioline tra il pubblico che rimandano i discorsi radiofonici di Evita (già visto nel primo allestimento dello stesso Piparo, ormai vent’anni fa), ma è nell’adattamento italiano che si segnalano le lacune più vistose. Nonostante nel complesso funzioni, proprio la hit dello spettacolo si fa fatica a digerirla.

Teatro pieno, tanti giovani in sala per vedere sul palcoscenico la loro beniamina; almeno in questo Piparo è riuscito nell’impresa. Purtroppo la domanda da farci è: con un’altra performer, sicuramente più brava e adatta, ma sconosciuta al grande pubblico sanremese-televisivo (che so, penso ad una Francesca Taverni, o Simona Distefano), si sarebbe avuto lo stesso seguito?

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