AMORE E MORTE TRA DRAMMA E COMMEDIA
Al Carlo Felice di Genova convincono “Rapsodia
Satanica” musicato da Mascagni, e Gianni Schicchi di Puccini, in sostituzione
del rimandato Sunset Boulevard.
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Il cinema muto, melodie pucciniane, l’eterno binomio
amore-morte, un triangolo amoroso, la chimera dell’eterna giovinezza. Avrebbero
dovuto essere gli ingredienti della prima nazionale (dopo il tour inglese visto a Trieste) di "Sunset
Boulevard" di Andrew Lloyd Webber, con cui l’illuminato ente lirico Carlo Felice
di Genova avrebbe dovuto proseguire nel percorso
di apertura verso il musical che l'ha visto coprodurre e ospitare titoli anglosassoni ma ‘made in
Italy’ come "West Side Story", "Americano a
Parigi", "Flashdance". Purtroppo Sunset è stato rimandato alla prossima stagione,
ma il teatro è riuscito a restituire i medesimi ingredienti in una interessante
serata teatral-cinematografica in scena dal 12 al 14 aprile scorsi.
La prima parte era dedicata alla proiezione di “Rapsodia
Satanica”, pietra miliare del cinema muto italiano, accompagnata dalla preziosa
e romantica colonna sonora di Pietro Mascagni eseguita dall’Orchestra del Carlo
Felice, diretta con trasporto da Valerio Galli.
Diretto da Nino Oxilia, il film è costruito intorno
alla sensuale e misteriosa Contessa Alba D’Oltrevita, interpretata dalla star
dell’epoca Lyda Borelli. Nel Prologo la vediamo anziana guardare con languido
rimpianto alla giovinezza perduta, tanto da scendere a patti con Mefistofele in
persona (il beffardo e grandguignolesco Ugo Bazzini). Il demone la invita a
rinnegare l’amore, e lei si ritrova per magia fanciulla e contesa tra due
fratelli. Mentre flirta con Tristano, Sergio si innamora perdutamente di lei e
minaccia di suicidarsi se non sarà ricambiato. Alba, trasformata dal faustiano
accordo satanico in sprezzante belle dame
sans merci ignorerà il suo amore. Ma quando il giovane andrà tragicamente
in fondo al suo proposito la donna sarà sconvolta al punto da rinnegare la
promessa di non amare più, e di far entrare nella sua villa Tristano. Si
accorgerà troppo tardi di aver accolto tra le sue braccia nient’altro che Mefistofele,
che in un sol colpo le toglierà giovinezza e vita, pronto a conquistare una
nuova anima. Una parabola enfatica, insomma, dell’amore come essenza
identitaria dell’essere umano, in una pellicola ancora fruibile anche grazie al
restauro a cura della Cineteca di Bologna. Di forte simbolismo la scena
in cui l’effige della diva Borelli è moltiplicata in svariati riflessi di
specchi, proprio quando si accorge di quanto sia vacua e disumana un’eterna
giovinezza che non si faccia consumare dalla fiamma del vero amore.
Molto più leggero, e quindi fresco e godibile, il
secondo atto tutto pucciniano, un Gianni Schicchi gioioso e giocoso, sempre
diretto con brio da Galli con la regia divertente e divertita di Rolando
Panerai, i costumi disneyani ma d’epoca di Vivien A. Hewitt e le scene suggestive e funzionali di Enrico Musenich.
Tratto da un passo della Divina Commedia (Inferno, Canto
XXX) è una godibile commedia di astuzie, baruffe e avidità familiari con al
centro il testamento del defunto Buoso Donati, che lascia tutti i suoi averi a
un convento, e i suoi eredi a bocca asciutta. Almeno fino all’intervento dello
scaltro Schicchi (un Federico Longhi gigione e intenso), che per favorire il
matrimonio della figlia Lauretta col mancato erede Rinuccio si sostituisce alla
salma per dettare nuove volontà che stavolta favoriscano il parentado.
Ma nella
miglior tradizione dei trompeur trompée, Gianni
riserverà per sé stesso (e quindi per figlia e futuro genero) la parte più sostanziosa
degli averi, moltiplicando al cubo la beffa quando, lui componente della 'gente nova', caccerà di casa il lignaggio dei presuntuosi Donati. Si sa che nobiltà non
fa necessariamente rima con furbizia, e la lotta di classe sui generis si concluderà
con un lieto fine a premiare la macchinazione paterna e l’insistenza della figlia
innamorata (la bellissima voce di Serena Gamberoni), modulata dall’incanto de “O
mio babbino caro”. Perché in questo atto unico Puccini è geniale nell’alternare
momenti di irresistibile drammaturgia comica a arie impreziosite da melodie di impareggiabile
dolcezza. Memorabile la scena in cui Schicchi farcisce le ultimissime volontà di
Buoso con brandelli dell’arioso “Addio Firenze”, qui ripreso a mo’ di minaccia
per i Donati, ricordando l’esilio e la mutilazione riservate a chi contraffaceva
testamenti: “I mulini
di Signa (addio, Firenze!)/li lascio al caro (addio, cielo divino!)/affezionato
amico... Gianni Schicchi!/(E ti saluto con questo mancherino!)“.
Per le melodie lloydwebberiane di Sunset Boulevard ci sarà tempo la prossima stagione, intanto ci siamo goduti una ricca serata di cinema e teatro musicale.
Per le melodie lloydwebberiane di Sunset Boulevard ci sarà tempo la prossima stagione, intanto ci siamo goduti una ricca serata di cinema e teatro musicale.
Franco Travaglio
tanto da scendere a patti con Mefistofele in persona
RispondiEliminaDico sempre: c'è un'immagine da cui rimangono film https://casacinema.tube/ i soldi, succede - il nome della città rimane, succede - rimane qualche tipo di bici dalle riprese, e a volte diventa solo una parte della tua vita.
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