SCHIKANEDER: riflessioni sul libretto.
a cura di Anna Hurkmans
Indubbiamente si esce dal musical “
Schikaneder” inebriati di suoni, colori e forme di grande bellezza estetica. Un
vero tripudio di belle voci, attori convincenti, costumi assolutamente
meravigliosi (me ne intendo, sto facendo
costumi settecenteschi per il nostro “Casanova”) scenografie di grande
impatto, una regia che attira l’attenzione in ogni momento, con una mano
molto felice nelle scene di gruppo. Dunque uno spettacolo riuscito
perfettamente da tutti i punti di vista?
Qui ci vuole una riflessione e non
posso negare che questa riflessione sono riuscita a farla solo dopo un po’ di
tempo. La prima impressione è effettivamente quella della perfezione. Mi sono
solo resa conto che mancava qualcosa, c’è qualcosa che non lasciava del tutto
soddisfatti. E quel qualcosa non l’avevo nominato nell’elenco degli aspetti
riusciti del musical qui sopra. E’ il libretto.
Ripensando alla storia vista e
rileggendo il programma mi sono imbattuta in una illogicità: lo spettacolo si
chiama “Schikaneder, ma il personaggio principale sembra lei, la moglie
Eleonore. Non solo perché il suo ruolo offre molte più sfumature e sviluppi di
carattere, mentre quello del marito risulta unidimensionale (cosa ancora maggiormente
sottolineata dalla recitazione stereotipata di Seibert, peraltro bravo come cantante (in
certi momenti sembrava avere a che fare con il Gastone della “Bella e la
Bestia” con quelle sue braccia che si muovevano come le pale di un mulino).
Eleonora è infatti la protagonista del prologo, in cui dice espressamente di
voler raccontare la sua storia col marito dal suo punto di vista. Dunque è lei
che guida il racconto, di lei si sa tutto dalle sue origini in poi. Il marito
entra solo di seguito.
Ma c’è di più. Qui in Italia il nome
Schikaneder è noto solo a qualche musicista. (Ho fatto la prova, pochi
risultati anche lì!) mentre a Vienna è indubbiamente (un po’?) più noto. Ma
anche in quel caso lo si conosce solamente come il librettista del Flauto
magico di Mozart.
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Hanno dunque fatto bene a chiudere il
musical con una bellissima scena in cui si assiste alla prima di quest’opera
dal backstage.
Mozart non viene mai nominato nel
musical, c’è solo qualche accenno a “quel compositore ubriacone”. Vabbene,
accettiamolo, il fatto di trattare
Mozart sempre come il ragazzaccio di “Amadeus”. Non volerlo portare in scena è
una scelta accettabile. Ma quello che non si capisce durante tutto il secondo
atto del musical è da dove viene improvvisamente fuori questo libretto, per
niente affatto sempliciotto? Un testo in cui si mescola l’esoterismo orientale
con l’ideale massonico, la speranza nel progresso tipico dell’Illuminismo con
conoscenze dell’antico Egitto. Non si vede mai Schikaneder con una penna in
mano né con un libro. Dovrebbe aver avuto almeno una certa cultura, che dal
personaggio non appare mai. Dovrebbe essersi almeno occupato per un po’ di
tempo con la scrittura di questo libretto, oltre a correre dietro alle gonne (e
che gonne!) delle attrici. Avrà ogni tanto mandato una parte del libretto al
compositore e discusso con lui? Avrà anche riscritto qualche scena non del
tutto riuscita? Avrà avuto i suoi dubbi e i suoi problemi? E non gli è mai
venuto in mente di discuterne con gli
amici cantanti e attori? Mi è poi
difficile credere che dobbiamo la creazione del geniale personaggio di Papageno solo al fatto che in soffitta
lui aveva ritrovato un curioso costume verde piumato, come viene affermato qui.
E che l’ambientazione nell’antico Egitto era causata dal ritrovamento di una
vecchia scenografia da riutilizzare.
Qui invece niente, sembra che questo
meraviglioso libretto sia improvvisamente caduto dal cielo. Non sembra sia
costato nessuna fatica e nessun impegno a Schikaneder.
Bene, il mio parare è dunque che il
libretto, almeno nel secondo atto, sia debole. Come spesso succede nei musical
sarebbe augurabile una riscrittura di alcune parti, con un approfondimento del
personaggio di Schikaneder: non solo capocomico audace e Dongiovanni ma anche
intellettuale dal gusto originale e raffinato. (Tra l’altro quella con Mozart
era un’amicizia di lunga data, dunque avranno discusso spesso del lavoro
insieme.) Il secondo atto necessiterebbe anche di qualche taglio, anche di musiche troppo ripetitive.
Allora potrebbe meritarsi il grande successo.
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